Secondo Tzipi Hotovely “la terra è tutta degli ebrei e non dobbiamo scusarci”. Contrario ad un compromesso con Ramallah è anche l’ex ministro degli esteri Lieberman che definisce “autistici” coloro che sostengono la soluzione a due stati. Ma l’ex presidente d’Israele, Shimon Peres, avverte: “una netta maggioranza d’israeliani vuole uno stato palestinese”.
di Roberto Prinzi
Roma, 23 maggio 2015, Nena News - La neo viceministra israeliana agli esteri ha le idee chiare: “la Terra d’Israele appartiene agli ebrei e, pertanto, Israele non deve scusarsi per questo”. “Molte volte – ha detto due giorni fa Tzipi Hotovely parlando a Gerusalemme davanti a 106 diplomatici israeliani impegnati all’estero – sembra che nelle nostre relazioni internazionali, più che enfatizzare la giustezza dell nostra causa, ci venga chiesto di usare argomentazioni che funzionino bene diplomaticamente”.” La comunità internazionale – ha continuato – tratta con parametri di giustizia e moralità. Noi dobbiamo ritornare alla verità fondamentale del nostro diritto a questa terra, tutta questa terra è nostra e non dobbiamo scusarci”.
Per dare maggiore consistenza alle sue argomentazioni la viceministra ha poi citato Rashi, il celebre commentatore medievale del Talmud: “Rashi dice che la Torah si apre con la storia della creazione del mondo cosicché, nel caso in cui le nazioni dovessero dirvi che voi siete degli occupanti, voi possiate rispondere che tutta la terra appartiene al Creatore e che, quando ha voluto, ce l’ha data”. Consapevole che le sue dichiarazioni avrebbero potuto destare qualche preoccupazione nell’arena politica internazionale, Hotovely ha poi voluto citare il rabbino Yehuda Ashkenazi: “se gli ebrei sono convinti della giustizia del loro scontro con il mondo, di sicuro saranno in grado di gestirlo”.
Le affermazioni religiose di Hotovely non sono passate inosservate sulla stampa occidentale, sebbene ribadiscano quello che è già ampiamente noto: le scarse intenzioni del nuovo esecutivo Netanyahu di arrivare ad un compromesso con i palestinesi. Hotovely non è ufficialmente la titolare degli esteri il cui dicastero, per il momento, è nelle mani del primo ministro. Tuttavia, le sue dichiarazioni sono importanti nella misura in cui riassumono bene lo spirito nazional religioso della nuova coalizione governativa. Il passaggio biblico, che secondo il liberal Ha’Aretz avrebbe “scioccato” alcuni diplomatici, non è casuale, ma è una prova inconfutabile di uno spostamento sempre più su un binario religioso (o quantomeno una sua strumentalizzazione sempre più frequente) del discorso politico operato dall’estrema destra al governo.
Resta da capire come il premier – che non differisce affatto su questi temi dagli alleati nazionalisti religiosi di “Casa Ebraica” – proverà a mantenere compatto l’esecutivo che gode di una esigua maggioranza (61 su 120 seggi) evitando, o contenendo al minimo, le critiche che potrebbero giungergli da Bruxelles e Washington. Alcuni commentatori israeliani sostengono che la carica rimasta ancora vuota degli esteri potrebbe essere “materia di scambio” per convincere il riluttante ministro degli esteri Avigdor Lieberman di Yisrael Beitenu ad entrare in futuro nell’esecutivo. L’eventuale ingresso di Lieberman, noto per le sue posizioni xenofobe e fortemente anti-arabe, appare probabile nei prossimi mesi. Se ciò dovesse avvenire, sarebbe tutt’acqua al mulino del premier che potrebbe rafforzare l’attuale esigua maggioranza di cui gode alla Knesset [parlamento israeliano, ndr].
Lieberman è uno storico alleato di Bibi con cui per anni ha coabitato all’interno della stessa unione partitica (Likud-Beitenu) scioltasi soltanto poco tempo fa. Inoltre, per ciò che concerne la soluzione al conflitto con i palestinesi, il vulcanico leader di Yisrael Beitenu non si distanzia molto da Hotovely mostrando una ostilità nei confronti degli arabi pari a quella di Bennet, il leader dei nazionalisti religiosi di Casa Ebraica. L’adesione di Lieberman potrebbe avere un solo effetto collaterale: potrebbe essere mal digerita dagli alleati europei e d’oltreoceano per l’inflessibilità che l’ex ministro ha sempre mostrato per i palestinesi. Inflessibilità ribadita anche giovedì durante una intervista ad una radio locale durante la quale ha definito “autistici” i sostenitori della soluzione a due stati. La sua dichiarazione ha fatto innervosire molti in Israele costringendo Lieberman a un parziale dietro front. Sia chiaro, però, che ciò che aveva irritato parte dell’opinione pubblica israeliana non era stata la sua netta contrarietà ad un compromesso con Ramallah, quanto piuttosto all’uso inappropriato e offensivo del termine “autistico”.
Chi parla ancora di una prospettiva di uno stato israeliano affianco ad uno stato palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza con Gerusalemme est capitale è il presidente dell’Autorità palestinese (Ap), Mahmoud Abbas. Ieri Abbas ha chiesto alla comunità internazionale di continuare ad impegnarsi per implementare questa soluzione. “Noi insistiamo con una giusta pace e con la formazione di due stati secondo le risoluzioni della legittimità internazionale, dell’iniziativa araba di pace e degli accordi firmati” ha detto il presidente al Forum economico mondiale sul Medio Oriente e il Nord Africa che sta avendo luogo in Giordania. “Ciò che sta impedendo la ripresa dei negoziati diplomatici – ha aggiunto il leader di Fatah – sono la continuazione delle politiche di occupazione e la costruzione di [nuove] colonie che stanno creando fatti sul terreno”.
Al Forum era presente anche l’ex presidente d’Israele. Rivolgendosi alla platea, Shimon Peres ha affermato che c’è “una netta maggioranza di israeliani che è favorevole ad una soluzione a due stati”. “Raggiungere una soluzione politica è possibile, necessaria e urgente – ha sostenuto – così come appare chiaro come nessuno possa congelare la situazione: lo status quo non è una opzione”. Alla domanda se le possibilità di raggiungere la pace con i palestinesi sono diminuite con l’insediamento del nuovo esecutivo, Peres è stato estremamente diplomatico: “il governo ha appena iniziato i suoi lavori e perciò è troppo presto per giudicarlo. Ma quel che vi posso dire è che vi è un impegno verso una soluzione a due stati, così come c’era stato con il precedente esecutivo [sempre di destra guidato da Netanyahu, ndr]”.
A dimostrarsi (a parole) aperto al dialogo e all’amicizia con i palestinesi è anche l’attuale presidente d’Israele, Reuven Rivlin. Incontrando gli studenti di un liceo di Gerusalemme a cui è stato conferito il premio presidenziale per la partership educativa, Rivlin ha parlato dell’importanza dell’uguaglianza e dell’imparare a vivere insieme. “Nel nostro paese, l'”altro” è per me importante anche se non è ebreo. Viviamo tra una varietà di culture come cittadini di una stessa nazione. Per farlo ciascuno di noi deve ascoltare l’altro. Le cose saranno risolte più velocemente se rafforziamo la nostra connessione esattamente come voi avete fatto in questa scuola”.
Rivlin ha poi menzionato i palestinesi cittadini d’Israele: “viviamo in una unica nazione, non perché siamo costretti a farlo, ma perché lo vogliamo esserlo. Siamo un paese ebraico e democratico, ma il 20% del nostro popolo è costituito da arabi per cui dobbiamo imparare a vivere insieme”. La soluzione è semplice per il presidente: “primo di tutto dobbiamo ascoltarci, capire l'”altro” anche se non concordiamo con lui. Capiremo così, come voi avete dimostrato, che siamo molto simili”.Indubbiamente un bel discorso, ma che non deve trarre in inganno: Rivlin – in modo non tanto dissimile da Hotovely – è contrario alla nascita di uno stato palestinese. Nonostante la cautela che il ruolo istituzionale gli impone, il presidente auspica una soluzione ad uno stato dove agli “arabi” saranno inglobati nello stato israeliano come cittadini di serie B perché non ebrei. Ma ai quali è impensabile conferirgli indipendenza e sovranità.
Qualunque siano le dichiarazioni formulate dai politici israeliani, una cosa è certa e immutabile: il sostegno Usa ci sarà sempre. A ribadirlo è stato ieri il presidente statunitense Obama parlando alla sinagoga di Adas a Washington. Obama ha detto che gli Usa e Israele non devono nascondere le loro differenze riguardo alla costruzione di colonie in Cisgiordania né al congelamento del processo di pace con i palestinesi. “Questa – ha affermato il presidente – non sarebbe una amicizia”. Ciononostante, ha poi subito aggiunto, “il popolo d’Israele deve sempre sapere che ha il sostegno americano”. Nena News
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