Prigioniero egiziano denuncia lo stupro in carcere, arrestata la famiglia. Onu: in Sahel 29 milioni di persone non hanno cibo. Arabia Saudita: vogliamo relazioni “buone e speciali” con l’Iran
della redazione
Roma, 28 aprile 2021, Nena News
Prigioniero egiziano denuncia lo stupro in carcere, arrestata la famiglia
“Madre mia, ho esitato molto a scriverti queste parole perché la cosa peggiore che mi potesse capitare in prigione è successa il 6 aprile. Non è stata solo tortura, è stata una violenza sessuale che mi ha distrutto mentalmente e mi ha fatto odiare me stesso”. Questa è una parte della lettera che Abdelrahman al-Shweikh ha scritto alla madre da un carcere nel sud dell’Egitto dove è detenuto per ragioni politiche.
Il 19 aprile la madre ha reso pubblica la lettera in cui il figlio racconta nei dettagli cosa è successo: prima il litigio con un altro detenuto, poi l’intervento delle guardie che lo hanno bendato, legato e spogliato. Infine lo stupro. Abdelrahman ha fatto i nomi del responsabili e la sua famiglia ha denunciato la violenza sia ai responsabili della prigione che alla procura di Minya.
Infine in un video online la madre ha dato voce a tutta la sua preoccupazione per la vita del figlio. Ma invece di intervenire a protezione del prigioniero politico, le autorità egiziane ne hanno arrestato i familiari: a renderlo noto è stato Omar al-Shweikh, fratello di Abdelrahman che lunedì ha scritto su Facebook che la polizia ha arrestato il padre di 65 anni, la madre di 55 e la sorella di 18 per portali nel quartier generale della sicurezza egiziana ad Almasara, a Helwan.
Sui social è subito partita una campagna per chiedere il rilascio della famiglia al-Shweikh. Una storia, la loro, che è lo specchio dell’Egitto sotto il regime di Abdel Fattah al-Sisi: 60mila prigionieri politici (ma alcune organizzazioni parlano di 100mila), repressione del dissenso vero e presunto o come in questo caso per la mera denuncia di una violazione.
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Onu: in Sahel 29 milioni di persone non hanno cibo
Un numero record di persone, 29 milioni di sei diversi paesi della regione del Sahel (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Mali, Niger e Nigeria), hanno bisogno di aiuti umanitari a causa di una crescente denutrizione. Lo denunciano le Nazioni Unite in un comunicato pubblicato ieri. Cinque milioni in più dello scorso anno, un bilancio dovuto all’incremento delle violenze di gruppi armati e di milizie e delle campagne militari nazionali e internazionali.
Un conflitto che si allarga e che “coinvolge sempre più attori armati”, ha spiegato Xavier Creach, il coordinatore dell’Unhcr per il Sahel. “I civili pagano il prezzo di un incremento di attacchi mortali, violenze di genere, estorsioni, intimidazioni e sono costretti a fuggire, anche molte volte”. A firmare il comunicato dell’Onu anche diverse ong, tra cui il Norwegian Refugee Council and Plan International che aggiunge altri dati: circa 5,3 milioni di persone nella regione sono sfollate, migliaia di scuole sono state chiuse e 1,6 milioni di bambini soffrono di grave malnutrizione.
Diversi i conflitti che sconvolgono il Sahel, dalla ribellione dei separatisti nel nord del Mali, iniziata nel 2012 e che ha condotto all’intervento militare francese, al suo allargamento ai vicini Niger e Burkina Faso. E poi i conflitti contro milizie islamiste – da al Qaeda all’Isis – in Mali, Ciad e Nigeria, con il primo paese che ha visto nei mesi scorsi anche l’arrivo di soldati italiani. Un clima che ha portato nel 2014 alla nascita del cosiddetto G-5 Sahel (un coordinamento militare per la sicurezza formato da Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Mauritania) voluto e supervisionato dalla Francia
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Arabia Saudita: vogliamo relazioni “buone e speciali” con l’Iran
Ieri, dopo che la scorsa settimana diverse fonti avevano riportato di un dialogo segreto a Baghdad tra Arabia Saudita e Iran, il principe ereditario e reggente de facto della petromonarchia, Mohammed bin Salman, ha parlato in un’intervista tv delle relazioni con Teheran con toni ben diversi dal passato: “L’Iran è un paese a noi vicino e aspiriamo a costruire una relazione buona e speciale”. “Non vogliamo che l’Iran viva una situazione difficile – ha proseguito – Al contrario, vogliamo che cresca e che spinga la regione e il mondo verso la prosperità”.
Parole affatto in linea con le politiche fin qui intraprese da Riyadh, impegnata da anni – al fianco di Israele e dell’allora amministrazione Trump – a fare massima pressione economica e diplomatica sul rivale iraniano, senza disdegnare la prospettiva di un’operazione militare, fin qui tradottasi in continui attacchi reciproci a petrolieri e cargo di passaggio nel Golfo.
Di certo la nuova piega statunitense scelta da Biden – il dialogo con Teheran, seppure senza concedere troppo, e soprattutto senza rimuovere le sanzioni reintrodotte dal precedessore dopo l’uscita dall’accordo sul nucleare del 2015 – ha avuto un effetto su Riyadh. Che però, tiene a dire MbS, lavora per correggere “il cattivo comportamento” iraniano. Una botta al cerchio e una alla botte e zero commenti sull’incontro a Baghdad del 9 aprile, svelato dal Financial Times e mediato dal premier iracheno al-Kadhimi. Nena News