Assolto il medico che aveva operato la 13enne Sohair el-Batea, morta durante l’intervento. Delusione e rabbia per un verdetto che avrebbe potuto essere un deterrente per la diffusione di questa pratica, vietata dal 2008, e che invece rischia di sortire l’effetto contrario. Il 91 per cento delle donne egiziane tra i 15 e i 49 anni è stato sottoposto a mutilazione genitale
della redazione
Roma, 21 novembre 2014, Nena News – Il verdetto del tribunale di Aga ha gelato le speranze di tante donne e attiviste egiziane, che avevano chiesto giustizia per la morte della 13enne Sohair el-Batea durante un intervento di mutilazione genitale. Ieri il giudice ha assolto il padre della ragazza e il dottor Raslan Fadl che aveva eseguito l’operazione l’anno scorso. E adesso c’è chi teme che una sentenza che avrebbe potuto fungere da deterrente per la diffusione di questa pratica, vietata dal 2008, sortirà l’effetto contrario.
“Il verdetto è deludente e pericoloso”, ha detto alla Bbc Manal Fawzy, a capo di un’organizzazione per la tutela dei minori attiva nella provincia di Assiut. “Adesso per i medici sarà più semplice effettuare questi interventi”. Un’opinione condivisa da tante donne e da tanti attivisti egiziani che avevano sperato in una condanna esemplare. Raslan Fadl è stato il primo medico in Egitto a finire alla sbarra per avere eseguito una mutilazione genitale femminile, un reato per cui è prevista una pena massima di due anni di prigione. Si è difeso sostenendo che Sohair el-Batea è morta per un’allergia alla penicillina, mentre la famiglia della ragazzina ha subito ritirato la denuncia contro di lui. Sono state le Ong egiziane a premere affinché si arrivasse al processo.
“È terribile che dopo quello che sembrava essere un passo in avanti verso un risultato positivo, Suhair non abbia avuto giustizia”, ha commentato Suad Abu Dayyeh della Ong Equality Now che ha spinto per portare il caso davanti a un giudice.
L’Egitto è uno dei Paesi con il più alto tasso al mondo di donne che sono state sottoposte a questa pratica, nonostante sia vietata da sei anni e anche le autorità religiose ne abbiano riconosciuto la pericolosità. Secondo dati del 2008, il 91 per cento delle donne egiziane tra i 15 e i 49 anni è stato sottoposto a mutilazione genitale. La religione ha poco a che fare con questo intervento di asportazione di parte degli organi genitali femminili (è diffusa anche tra i cristiani), legato a una tradizione di controllo sociale della donna. In Egitto la chiamano “purificazione”, perché una donna “tagliata” viene “salvaguardata” dalle inquietudini del desiderio sessuale, avrà più possibilità di trovare marito, resterà pura fino al matrimonio e poi non tradirà. Così il ruolo della pressione sociale resta determinante per la diffusione di questo intervento che si esegue di solito quando la donna è poco più di una bambina, con conseguenze fisiche e psicologiche talvolta devastanti.
Le mutilazioni genitali femminili sono praticate in 29 Paesi dell’Africa occidentale e orientale, in Egitto, in Yemen e in parte dell’Iraq. Nena News