Più di 300 leader tribali libici partecipano da ieri ad un summit di quattro giorni al Cairo per trovare una soluzione alla violenza islamista. Non invitati i gruppi islamisti. Human Rights Watch, intanto, lancia l’allarme: “molti civili sono intrappolati a Bengasi”
della redazione
Roma, 26 maggio 2015, Nena News – Più di 300 leader tribali libici sono riuniti da ieri al Cairo per un summit di 4 giorni che ha al centro la violenza jihadista in Libia. “Capi di tribù, non esagero se dico che l’intero mondo vi sta guardando oggi sperando che vi possiate unire e augurandosi che possiate svolgere un importante ruolo nel dare stabilità alla Libia” ha detto il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri. Secondo Shukri questa conferenza al Cairo potrebbe essere “il punto di svolta” per combattere l’estremismo di matrice islamica.
Una pia illusione visto lo stato di profonda lacerazione in cui versa il Paese. La Libia ha due governi rivali: uno a Tripoli sostenuto da forze islamiche, l’altro, a Tobruq, riconosciuto dalla comunità internazionale. Ad aggravare ancora di più la situazione sono poi i vari gruppi armati che imperversano in molte aree del Paese. Senza dimenticare, inoltre, la presenza di gruppi che rivendicano la loro affiliazione allo “Stato islamico” di al-Baghdadi. L’Egitto è preoccupato per quanto accade in Libia perché teme che l’instabilità del vicino possa avere riflessi negativi sulla sua stessa stabilità (la cui sicurezza è già messa a dura prova dai gruppi jihadisti in Sinai). Il Cairo spera che le differenti tribù si uniscano, depongano le armi e riportino l’ordine e la legge. Nel caso in cui ciò non dovesse avvenire e dovesse continuare a regnare il caos, le autorità egiziane minacciano di intervenire militarmente con il pretesto di “combattere l’estremismo islamico”.
L’obiettivo di unire la Libia appare al momento un miraggio. Al vertice egiziano in corso giorni manca il ramo libico della Fratellanza musulmana, forza imprescindibile per qualunque negoziato di pace. In una nota, il ramo libico dei Fratelli musulmani ha detto di non essere stato invitato. L’Egitto, con il suo portavoce agli esteri Badr Abedl Atti, ha confermato il mancato invito aggiungendo che a non essere presenti al vertice sono anche altre organizzazioni islamiste ( l’Alba delle brigate della Libia, la Conferenza nazionale generale e le Brigate islamiste 17 febbraio). “Non abbiamo invitato gruppi politici o milizie – ha dichiarato Abdel Atti – il ministero ha invitato solo i rappresentanti delle tribù libiche per il ruolo cruciale che esse hanno nel mantenere l’unità del Paese e per la possibile influenza [che potrebbero avere] nel portare i vari gruppi ad un accordo politico”. Abdel Atti ha poi ricordato il “successo” della prima conferenza sulla Libia convocata lo scorso ottobre e ha sottolineato come l’Egitto “sta svolgendo solo il compito di organizzatore” e che “non interverrà sui punti in discussione al summit né discuterà dei suoi obiettivi e risultati”.
Ma mentre in Egitto si discute, la situazione nel Paese resta incandescente. Due ore fa la Casa dei Rappresentati di Tobruq ha dovuto fermare i suoi lavori dopo che alcuni manifestati avevano dato fuoco ad una macchina fuori il Parlamento. Secondo quanto riferisce il portavoce parlamentare, Farraj Hashem, la sessione parlamentare è ripresa solo dopo che il primo ministro ath-Thinni ha abbandonato il palazzo.
A pagare il prezzo più alto del caos libico sono soprattutto i civili. Secondo l’ong statunitense Human Rights Watch (HRW) molte persone sarebbero intrappolate in diversi quartieri di Bengazi. L’organizzazione per i diritti umani ha esortato i gruppi combattenti a lasciare uscire i cittadini senza porre condizioni. La direttrice di HRW per il Medio Oriente e il Nord Africa, Sara Leah Whitson, ha detto stamane che tutte le parti del conflitto devono evitare di causare danni ai civili e alle loro proprietà e ha invitato l’esercito libico e i gruppi combattenti a facilitare l’ingresso di aiuti per chi ha urgentemente bisogno. Nena News
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