Continua la protesta dell’UCC (“Union Coordination Commitee”) che chiede un aumento salariale del 121%. Il maggiore sindacato libanese ha invitato i lavoratori a manifestare domani a Beirut. Due settimane fa migliaia di lavoratori ed insegnanti avevano affollato le strade della capitale.
della redazione
Roma, 13 maggio 2014, Nena News – Nonostante l’indifferenza della politica, si continua a lottare in Libano per salari più alti. Ieri i membri del maggiore sindacato libanese hanno protestato fuori il Ministero degli Affari Sociali a Beirut. L’Union Coordination Commitee (UCC), che rappresenta migliaia di lavoratori e insegnanti del settore pubblico, ha chiesto nuovamente al governo di far passare un disegno di legge che aumenti gli stipendi del 121%.
Tuttavia i parlamentari, pressati dalle banche e delle grosse imprese, continuano ad essere sordi alle richieste dei lavoratori. L’aumento salariale proposto dai sindacati, infatti, nascerebbe proprio da una tassazione dei profitti delle banche e delle aziende.
Nonostante le difficoltà, il Presidente dell’UCC Hanna Gharib appare certo della vittoria. “L’UCC vincerà la battaglia perché non ha mai perso una sfida” ha detto ieri intervenendo al presidio sotto il Ministero. “La nostra battaglia è contro i ladri e non contro i capitalisti . Vogliamo godere dei nostri diritti in pieno”. Gharib ha poi precisato: “non accettiamo il lavoro forzato e i diritti dei pensionati sono per noi una priorità”.
L’UCC ha invitato i lavoratori a scendere in piazza mercoledì a Beirut in una manifestazione che si annuncia molto partecipata. Decine di migliaia di impiegati del settore pubblico e insegnanti di scuola avevano manifestato per le strade della capitale libanese due settimane fa chiedendo al Parlamento di aumentare i salari. La vertenza dura da tre anni e, secondo i lavoratori, prova ad equiparare le retribuzioni all’aumento dell’inflazione. Ma il rialzo degli stipendi, ha precisato l’UCC, non deve contemporaneamente comportare un aumento delle tasse sui beni di prima necessità. I costi del progetto di legge sono stimati in un 1.6 miliardi di dollari. Secondo i lavoratori i fondi devono essere reperiti imponendo tasse alle strutture costiere e dai profitti bancari e immobiliari.
Sul banco degli imputati vi è Riad Salameh, il Governatore della Banca Centrale del Libano. Secondo Salameh l’aumento dei salari causerà l’inflazione e aggraverà il deficit statale “a livelli allarmanti”. Per il Governatore gli aumenti andrebbero pagati in un periodo di cinque anni così da non pesare sul Tesoro. Diverso è il parere dell’UCC. Secondo il sindacato qualunque aumento spalmato nel corso degli anni è inaccettabile.
Ma se Salameh è duramente criticato, non godono di maggiore stima i parlamentari. Pressati dalle più influenti forze capitalistiche del Paese e più (pre)occupati a scegliere il prossimo Presidente della Repubblica, i parlamentari non sembrano molto interessati a giungere ad una soluzione. Alcuni di loro hanno suggerito di reperire i fondi necessari all’aumento salariale aumentando l’IVA. Proposta scartata però da altri loro colleghi perché così si andrebbero a colpire soprattutto le classi più svantaggiate.
La situazione economica difficile del Libano è aggravata dalle ripercussioni della guerra civile siriana. La presenza di un milione di rifugiati siriani sta incidendo profondamente su un Paese di soli 4 milioni di abitanti. Inoltre, ha generato una guerra tra poveri: i siriani, accettando salari più bassi, risultano più graditi ai datori di lavoro libanesi. A discapito della manodopera locale. Nena News