Da ormai sei giorni il Libano è senza un presidente eletto. Se USA, Francia e Nazioni Unite premono nel timore di una nuova paralisi istituzionale, le preoccupazioni della classe politica libanese guardano piuttosto alla salvaguardia del confessionalismo.
di Rossana Tufaro
Roma, 31 maggio 2014, NenaNews – Si è svolta giovedì senza particolari intoppi la prima seduta del parlamento libanese senza la presenza di un presidente eletto. È da sei giorni infatti che lo scranno presidenziale è vuoto, data l’incapacità della Camera di essere riuscita ad eleggere il successore di Michel Sulaiman entro i termini di scadenza del suo mandato, passando così “la palla” all’esecutivo fino all’elezione di un nuovo Capo dello Stato. E se USA, Francia e Nazioni Unite tuonano affinché una soluzione venga trovata in tempi brevi nel timore di una nuova paralisi istituzionale faccia a faccia alla crisi siriana, le preoccupazioni della classe politica libanese sembrano muoversi invece su tutt’altro piano, strettamente legato alla legittimità dell’impianto confessionale costitutivo della Repubblica sin dalla sua fondazione e istituzionalizzato costituzionalmente con i cosiddetti “Accordi di Taif” del 1989.
In effetti, guardando da un punto di vista eminentemente tecnico alla distribuzione dei poteri tra le diverse cariche istituzionali sancita dalla Costituzione, la figura presidenziale non dispone di alcuna autorità determinante tanto nell’iter legislativo quanto esecutivo. Il presidente infatti, pur potendo presiedere alle sedute parlamentari, non può né deciderne l’agenda né votarne le decisioni, così come in caso di veto (che può opporre solo una volta) è obbligato ad accettare le decisioni della Camera dopo una sola revisione; infine, in caso di assenza come quello in corso, i suoi poteri passano tout court al governo in carica.
Non avere un presidente dunque, non pregiudicherebbe affatto lo svolgimento di una regolare vita istituzionale. Tuttavia, ammetterne esplicitamente la non-indispensabilità, implicherebbe mettere in discussione dalle fondamenta il principio di rappresentatività confessionale alla base del sistema libanese tutto, privando la componente cristiana dalla sua emanazione nella troika istituzionale [secondo la Costituzione il Presidente della Repubblica deve essere cristiano maronita, il Primo Ministro musulmano sunnita e il Presidente della Camera musulmano sciita, n.d.a.] e minando così la legittimità di qualsiasi provvedimento legislativo preso in sua assenza.
Ciò nonostante, una soluzione per uscire dall’impasse sembra ancora lontana dall’essere trovata. La consapevolezza della centralità della questione per la tenuta dello status quo alla quale nessuna delle forze politiche in campo vuole e può rinunciare per mantenersi al potere da un lato, e la consapevolezza di poter prendere tempo dall’altra, sta infatti portando i leader cristiani delle due coalizioni avversarie dell’8 e del 14 Marzo (rispettivamente Michel Aoun del Movimento Patriottico Libero e Samir Geagea delle Foze Libanesi) a sfruttare la corsa alla presidenza per l’ultimo, disperato, tentativo di fare da traino per il cambiamento dei rapporti di forza tra i due blocchi a fronte del basso profilo sul quale, al contrario, i rispettivi alleati di maggioranza (il Movimento Mustaqbal ed Hezbollah) stanno puntando.
Insomma, anche in questo caso, lo scenario più plausibile è che la soluzione venga trovata tra Parigi e Riad attraverso la mediazione di leaders altri (Jumblatt, Berri, Siniora, Salam) faccia a faccia agli equilibri regionali contingenti, con buona pace dei diretti interessati. Nena News