Nena News pubblica oggi la prima parte del racconto di Mirca Garuti dal campo rifugiati di Makhmour che, come molte zone del “Kurdistan del Sud”, è stato oggetto di bombardamenti da parte dell’aviazione turca nell’indifferenza generale della comunità internazionale
Testo e foto di Mirca Garuti*
Roma, 14 gennaio 2018, Nena News – Sono cinque anni che l’Associazione verso il Kurdistan di Alessandria si reca nei territori del Bashur per realizzare un progetto relativo alla costruzione di un ospedale nel campo di Makhmour. Questi viaggi ci permettono non solo di seguire lo sviluppo di questo progetto, ma anche di conoscere sia la realtà in cui vivono i profughi curdi e sia la situazione di questo paese immerso tra lotte interne, regionali e internazionali. Quello che tutti ci chiedono è raccontare, spiegare al mondo, chi sono e cosa vogliono, proprio perché l’informazione diretta di chi ha visto e sentito, è quella che rappresenta la verità. Quasi nessuno sa che esiste un campo profughi in mezzo al deserto che si chiama Makhmour organizzato con un sistema democratico dove le donne contano, dove le donne non sono solo madri o serve e dove da vent’anni una forte resistenza ha permesso loro di continuare a vivere una vita dignitosa e piena di speranze.
Mentre stavo scrivendo la situazione che ho trovato in Kurdistan, sono stata raggiunta da questa tremenda notizia.
“Verso le ore venti del 13 dicembre scorso aerei turchi hanno bombardato le colline intorno al campo di Makhmour. Non è stato un caso la scelta di questo obiettivo da parte dello Stato turco. Makhmour deve essere annullato, cancellato, il suo esempio è troppo pericoloso”.
Il bilancio dell’incursione: quattro donne uccise nelle loro baracche, una madre, sua figlia, sua nipote ed un’ospite della famiglia. Questa non è stata la prima volta, dall’anno scorso il campo è stato attaccato con aerei da guerra dallo stato turco due volte, uccidendo civili e componenti delle Unità di Autodifesa di Makhmour. Contemporaneamente a questa incursione è stata attaccata anche la regione nord irachena di Sengal. L’attacco è avvenuto mentre la maggior parte degli abitanti yazidi era impegnata nei preparativi della festa Ezi. Tutto questo è la dimostrazione dell’odio del regime di Erdogan contro il popolo curdo e yazidi con l’obiettivo di voler completare quello che l’Isis non ha fatto. L’Isis infatti dopo Mosul ha spostato la sua attenzione verso Makhmour e Sengal. Luoghi che sono stati difesi dalla guerriglia curda.
Dietro tutti questi attacchi si nasconde, ma non troppo, il piano d’invasione del governo turco a guida AKP-MHP (Partito conservatore turco della Giustizia e dello Sviluppo a guida Erdogan – Partito del movimento nazionalista, braccio politico dei Lupi Grigi) in Iraq Kurdistan Bashur, iniziato molto prima del conflitto siriano, attraverso una partnership strategica con il KDP (Partito Democratico del Kurdistan) di Massud Barzani. Si capisce quindi anche il perché della crisi di governo iracheno dopo le elezioni legislative di maggio scorso. La sensazione è quella d’identificare questa crisi come il prodotto delle tensioni tra Iran, Usa e Arabia Saudita. Lo scopo sarebbe quello di mettere il KDP e il PUK (Unione Patriottica del Kurdistan) contro il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e di allontanare poi il Puk da Baghdad. Il piano della Turchia è riprovevole e tutto dipenderà dall’acume politico dei curdi, del Kdp, del Puk e dalla loro volontà di rifiutare l’influenza dei colonialisti. Quello che sta succedendo in Kurdistan è un fatto molto grave, ma tutto tace. Nessuna notizia. Nessuna condanna.
L’ONU dovrebbe denunciare questo attacco, dato che il campo è sotto il suo controllo come, in egual modo dicasi, per il Governo centrale iracheno ed il Governo regionale del Kurdistan del sud. Un silenzio che è sinonimo di complicità.
L’esempio più significativo è quello della divulgazione, nel novembre scorso, del bando di ricerca e di taglia, emanato dagli USA, per la cattura di alcuni dirigenti del PKK. Un azione questa che ha provocato molte proteste in tutta Europa: Amburgo, Berlino, Reims, Basilea, Roma. Una mobilitazione che ha evidenziato la difesa del PKK dall’accusa di essere considerato un’organizzazione terroristica, che ha chiesto la fine dell’isolamento del suo fondatore Ocalan in carcere in Turchia da 20 anni ed accusando gli Stati Uniti di aver emesso questi mandati solo per compiacere al regime dell’Akp in Turchia.
Non è possibile quindi che gli attacchi contro Makhmour e Sengal siano avvenuti senza l’assenso degli Usa. L’obiettivo è quello di intimidire ed allontanare dal movimento curdo tutte le aree che si sentono vicino ad Ocalan e alla lotta del popolo curdo.
(continua domani)
* Il reportage è stato pubblicato originariamente su alkemianews