L’udienza è stata aggiornata al prossimo 14 gennaio. Condannati invece i due complici minorenni, che accusano il principale imputato di averli plagiati e forzati. La rabbia della famiglia Abu Khdeir: “Compariranno molti più Ben-David se la corte non dovesse scoraggiarli”
della redazione
Roma, 30 novembre 2015, Nena News - Una sentenza amara, quella pronunciata oggi nel processo per l’omicidio di Mohammed Abu Khdeir a Gerusalemme: due minori israeliani giudicati colpevoli e il principale imputato, il trentunenne Yosef Ben-David, momentaneamente non condannato a causa di una perizia psichiatrica tuttora in corso. Anzi, avviata solo due giorni prima dell’udienza. Seppur riconoscendo la colpevolezza di Ben- David nel rapimento e nell’omicidio dell’adolescente palestinese poi bruciato vivo, secondo quanto riporta il quotidiano israeliano Haaretz, la corte ha deciso di rinviare l’udienza al prossimo 14 gennaio.
Continua, quindi, l’epopea della famiglia Abu Khdeir, a un anno e mezzo dall’uccisione del sedicenne Mohammed, compiuta da un gruppo di “estremisti” israeliani – definiti “nazionalisti” in Israele – in rappresaglia al rapimento e all’omicidio dei tre coloni adolescenti qualche settimana prima nella Cisgiordania meridionale. Nuovi elementi sono emersi nel corso del processo. L’accusa ha stabilito che il colono Ben-David e i suoi due complici minorenni, tutti rei confessi una settimana dopo il ritrovamento del corpo del giovane, avrebbero cercato “la vittima perfetta” per ben tre ore prima di scagliarsi sul giovane Abu Khdeir, diretto in moschea per pregare.
Dal processo, come si legge sulla stampa israeliana, è emerso che i due minori – i quali hanno accusato Ben David di averli drogati e forzati a ingurgitare bevande energetiche – avrebbero fatto quasi tutto il “lavoro” sotto la direzione di Ben-David, dal sequestro alle percosse fino allo strangolamento che ne ha provocato lo svenimento. Trasportata la vittima nella foresta di Gerusalemme, uno dei minori israeliani si sarebbe ribellato contro il complice adulto perché non partecipava attivamente: a quel punto Ben-David avrebbe preso un piede di porco e colpito ripetutamente il giovane palestinese alla testa gridando “Questo è per la famiglia Fogel”, “Questo è per Shalhevet Pas” e “Questo è per Ehud, Naftali ed Eyal” [tutti uccisi nei Territori occupati, ndr]. Poi, dopo averlo cosparso di una sostanza infiammabile, gli avrebbero dato fuoco.
Dopo aver distrutto le prove nel Parco Sacher a Gerusalemme, i tre si sarebbero diretti a casa di Ben David nella colonia illegale di Adam in Cisgiordania. Lì avrebbero suonato la chitarra e poi sarebbero andati a letto. La difesa dei due minori si sarebbe basata sulla morbosa dipendenza che avevano nei confronti di Ben-David, da loro considerato alla stregua di un padre a cui era difficile resistere. Inoltre, gli avvocati dei due giovani hanno affermato che i loro clienti volevano solo rapire Abu Khdeir, non ucciderlo. Ben-David, invece, si è avvalso del suo diritto di rimanere in silenzio e ha lasciato fare al suo avvocato, che ha presentato una perizia psichiatrica nella quale era dichiarata l’impossibilità per l’imputato di sostenere il processo a causa del suo stato mentale.
La decisione di oggi rispecchia la modalità “due pesi e due misure” utilizzata da Tel Aviv nel giudizio dei crimini commessi da palestinesi e da israeliani. Lo sa bene Hussein Abu Kdheir, padre della vittima, che ha dichiarato che non sarà soddisfatto “nemmeno con l’ergastolo”. Ha poi promesso di rivolgersi alla Corte internazionale dell’Aia se le condanne dovessero essere troppo leggere. “Questo crimine – ha dichiarato l’uomo, come riporta il quotidiano israeliano Ynet – non può aspettare in tribunale per un anno e mezzo e due giorni prima concludersi con l’opinione che lui [l’imputato, ndr] è folle. Ho paura che il tribunale lo assolva. Ho paura che compaiano molti più Ben-David se la corte non dovesse scoraggiarli. E voglio che le loro case vengano demolite”. Nena News