Dato che i gruppi per i diritti umani mettono in guardia contro la situazione di apartheid nel settore abitativo, Bethan Staton ha incontrato un palestinese cittadino israeliano escluso dalla vita in comunità.
di Bethan Staton – Middle East Eye
Tel Aviv, 17 ottobre 2014, Nena News – Sami Miaari stava cercando una nuova casa per la sua famiglia quando, due anni fa, si è informato circa la possibilità di andare a vivere nel Misgav [regione turistica. Letteralmente: “Fortezza del popolo”. N.d.Tr.], nel nord di Israele.
Il docente, che lavora all’università di Tel Aviv, per prima cosa è andato agli uffici del Consiglio regionale del Misgav. Là, pensava, avrebbe trovato i moduli per la richiesta [da presentare] a uno dei “Comitati di Ammissione” del Misgav – l’autorità che seleziona eventuali nuovi residenti dei piccoli Comuni israeliani. Ma il personale dell’ufficio, racconta Miaari a Middle East Eye, gli hanno detto di non poterlo aiutare. E che avrebbe dovuto andare direttamente ai [vari] Comuni [della zona].
Così ha fatto. Ma nel primo Comune gli hanno detto che i moduli di cui aveva bisogno non erano disponibili. Nel secondo Comune è stato mandato direttamente indietro agli uffici dell’amministrazione regionale. Nel terzo, ha trovato un altro impedimento. Sembrava che le porte dei Comuni del Misgav fossero sbarrate.
Chiedendosi dove fosse il problema, Miaari si è rivolto ad un amico ebreo per avere il suo aiuto: “Gli uffici di ammissione stanno mentendo – gli disse l’amico – Non vogliono darti i documenti”.
“E’ stato allora che sono arrivato al punto di pensare: devo davvero iniziare un’azione legale contro questi Comuni”, dice Miaari. Ritiene che gli sia stato impedito di vivere nel Misgav perché arabo – un cittadino palestinese di Israele. Il Consiglio regionale del Misgav non ha risposto alla richiesta di Middle East Eye di commentare queste affermazioni.
Da quando è stato respinto, Miaari si è messo a lavorare con Adalah, il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele, per far riconoscere il suo diritto. Il Centro ritiene che i Comitati di Ammissione, come quello che opera nel Misgav, discriminano le minoranze: disabili, omosessuali, ebrei Mizrahi [sefarditi, provenienti dai paesi arabi. N.d.Tr.] e, soprattutto, arabi. Dal 2011 Adalah ha presentato appelli per chiedere la cancellazione della legge sui Comitati di Ammissione, che istituisce questi organi, sostenendo che il loro “principale obiettivo” è di “ emarginare i cittadini arabi ed impedire loro di andare a vivere sulla “terra pubblica” in molti Comuni. Tuttavia questa lotta ha da poco ricevuto un duro colpo: la scorsa settimana [a metà settembre, n.d.Tr] la Corte Suprema israeliana ha votato la validità della legge sui Comitati di Ammissione, sancendo la legittimità di questa controversa normativa. Ciò significa che 434 Comuni nel Negev e in Galilea continueranno a vagliare i nuovi arrivi, accettando o rifiutando le richieste per consentire loro di sistemarsi in queste piccole comunità.
Le decisioni sono prese da un comitato che include rappresentati dell’Organizzazione Mondiale Sionista (World Zionist Organisation) e dell’Agenzia Ebraica. Il comitato basa le proprie scelte su una serie di criteri, che comprendono “l’adeguatezza rispetto alla vita sociale della comunità” e “al tessuto sociale e culturale della città”. I suoi critici sostengono che queste vaghe definizioni rendono la legge molto pericolosa. Legalmente, ai comitati è vietato rifiutare richieste in base all’etnia, alla religione, alle preferenze sessuali o ad altre identità minoritarie. Ma un rifiuto su base discriminatoria può essere facilmente mascherato con giustificazioni vaghe. “Se non vuoi qualcuno, puoi semplicemente dire che non è idoneo alla comunità – ha detto Salah Mohsen a MEE – E questo non è un criterio che puoi verificare o discutere.”
Nel passato, motivi opinabili per un rifiuto sono stati messi in discussione da persone escluse dalle comunità. Quando a Fatina e Ahmed Zubeidat, architetti appena sposati, è stato impedito di traslocare a Rakefet – sempre nella regione di Misgav- sulla base della “non idoneità sociale”, Adalah si è occupato del loro caso. La famiglia ha passato sei anni a lottare contro l’umiliante decisione, e alla fine nel 2011 la Corte Suprema ha ordinato a Rakefet di assegnare loro un pezzo di terra. Ma la legge in sé, comunque, è rimasta.
Mentre chi la critica sostiene che potrebbe colpire molte minoranze, una serie di dati indica che sono i palestinesi ad essere i più esclusi in base a questa legge. Adalah sottolinea che una “visione sionista” è tra i “criteri speciali” che le comunità possono usare come base per un rifiuto. La Galilea e il Negev, dove si applica questa legge, sono zone in cui vive il maggior numero degli arabo-israeliani.
Anche alcune dichiarazioni da parte di sostenitori e sponsor della legge, documentate da Human Right Watch nel 2011, suggeriscono che uno degli obiettivi di questa legge è creare comunità esclusivamente ebraiche. In un discorso alla Knesset del 2009, ad esempio, David Rotem, parlamentare di Yisrael Beiteinu [partito nazionalista di estrema destra. N.d.Tr.] ha affermato che questa legge permetterà di creare comunità “formate da gente che vuole vivere con altri ebrei” e in seguito ha detto in un’intervista radiofonica che si potranno creare comunità “dove ognuno sia un veterano dell’esercito, un alunno della Yeshiva [scuola religiosa ebraica. N.d.Tr.], o qualcosa del genere”.
Parlando a MEE questa settimana, Rotem ha negato che la legge sia discriminatoria nei confronti degli arabo-israeliani, o che abbia questa intenzione: “Io voglio solo sapere chi sarà il mio vicino di casa. Si basa sul criterio di quanto tu puoi essere parte della comunità”, ha affermato. Alla domanda se le comunità avrebbero accolto arabo-israeliani, ha risposto: “Dipenderà” dalle comunità coinvolte. “Non è così male avere delle comunità ebraiche. Nessuno ti accetterebbe in un villaggio arabo”, ha sostenuto Rotem. Per niente preoccupato da problemi di discriminazione ed emarginazione delle minoranze, egli crede che la legge stia funzionando bene. “Ha permesso alle comunità di decidere se ti vogliono o meno”, ha spiegato.
Da parte sua, Adalah non pone fondamentali obiezioni nei confronti delle comunità esclusive: è “assolutamente comprensibile”, secondo Mohsen, che gruppi come gli ebrei [ultra-ortodossi] Haredi vogliano mantenere un determinato stile di vita. Ma l’organizzazione sostiene che la legge è appositamente ideata per escludere i cittadini arabi da alcune città ebree – una politica che stabilisce un regime di “apartheid abitativo” e perpetua la sistematica emarginazione che essi già devono affrontare. Persone come Sami Miaari e la famiglia Zubeidat spesso hanno buone ragioni per andare a vivere nelle comunità ebraiche. Oggi la terra disponibile per le comunità arabe di Israele è notevolmente, e sempre più, ridotta: nonostante costituiscano circa il 20% della popolazione, si ritiene che i palestinesi cittadini di Israele abbiano a loro disposizione meno del 5% della terra del paese. I Comuni arabi controllano solo il 2,5% della terra pubblica, e, mentre il 13,2% della popolazione vive in questi Comuni [arabi], hanno a disposizione solo il 9,1% dei fondi pubblici locali. Il risultato è una carenza non solo dal punto di vista abitativo, ma educativo, sanitario ed anche in altri servizi. Secondo Adalah, oltre il 93% della terra è sotto diretto controllo dello Stato e del Fondo Nazionale Ebraico.
“Non abbiamo abbastanza terra da cedere ai giovani perché costruiscano le proprie case ed inizino una nuova vita. Non abbiamo abbastanza opportunità, perché il governo non vuole concedere terra agli arabi – sostiene Sami Miaari – Io faccio parte di una famiglia molto piccola. Abbiamo lasciato la nostra terra nel 1948 e non ce n’è rimasto neanche un centimetro per costruire le nostre case a Sakhnin”. “Quando vedo le pubblicità di quelle comunità israeliane, queste dicono ‘Sei il benvenuto, vogliamo che tu ti unisca a noi’. Per cui, se tu fai questi annunci per tutti i cittadini, io sono uno di loro, io voglio andare in una di queste comunità”.
Per chi sta facendo una campagna contro questa norma, la legge dei Comitati per l’Ammissione non è un problema secondario. Sostengono che sta al centro di un sistema che ha spossessato i palestinesi della loro terra storica a favore degli ebrei israeliani fin dalla creazione dello Stato di Israele nel 1948, lasciando le comunità arabe ai margini di una società nella quale una stirpe è privilegiata rispetto alle altre. Salah Mohsen afferma: “Non stiamo parlando di dettagli o di cose da poco, stiamo parlando di un aspetto fondamentale della vita, della terra, che è il luogo in cui si svolge [la vita individuale e sociale], in cui si abita, per tutto. E nel corso di quest’anno la politica della terra in Israele ha lavorato in un solo modo, prendendola agli arabi e dandola agli ebrei israeliani”.
Traduzione di Amedeo Rossi