Prima di appiccare il fuoco hanno scritto sulle mura slogan del “Price Tag”, fra questi: ”Arabi, fuori”. Tensione forte nella città della Galilea.
della redazione
Gerusalemme, 18 aprile 2014, Nena News – L’ingresso di una moschea di Um el-Fahem, in bassa Galilea, la più popolosa città araba in Israele dopo Nazareth, è stato incendiato la scorsa notte da estremisti della destra ebraica. Prima di fare fuoco alla porta hanno lasciato sulle mura vari slogan, fra questi: ”Arabi, fuori”, riconducibili ai gruppi più radicali che praticano il “Tag Mehir” (Price Tag, prezzo da pagare). Si tratta della profanazione sistematica di siti religiosi islamici e cristiani e della distruzione di proprietà palestinesi in apparente rappresaglia contro quelli che gli estremisti considerano “cedimenti” agli arabi da parte del governo. Il “Tag Mehir” è attuato anche dai coloni israeliani che risiedono nella Cisgiordania palestinese sotto occupazione militare.
A Um el Fahem ora la tensione è alta. Molti dei suoi abitanti sembrano decisi a protestare con forza per questo attacco alla moschea e biasimano la polizia per non aver ancora arrestato i responsabili di attacchi analoghi perpetrati in passato. Di recente sono state attaccate proprietà e automobili arabe in Galilea, una istituzione cristiana e a Gerusalemme Est gli estremisti hanno tagliato le gomme di una quarantina di automobili palestinesi.
Il governo Netanyahu continua a ripetere, di volta in volta, che userà il pugno di ferro contro gli estremisti ma sino ad oggi sono state minime le azioni punitive, di polizia e magistratura, nei confronti di chi pratica il “Tag Mehir”. A conferma che gli estremisti, in particolare i coloni, godono di forti sostegni ai livelli più alti della politica israeliana.
In questo clima ieri si è svolta una nuova riunione, senza alcun risultato positivo, dei negoziatori palestinesi e israeliani incaricati di salvare ed estendere la trattativa bilaterale oltre la data limite del 29 aprile. Il tentativo fa seguito alla crisi causata dalla decisione del governo Netanyahu di non liberare lo scorso 29 marzo il quarto e ultimo gruppo di una trentina di detenuti politici che si era impegnato a scarcerare lo scorso luglio e dalla conseguente risposta del presidente dell’Anp Abu Mazen che ha chiesto l’adesione dello Stato di Palestina a 13 trattati e convenzioni internazionali.
All’incontro di ieri a Gerusalemme ha partecipato anche l’inviato Usa nella regione Martin Indyk ma “dopo ore di discussione il gap tra le due parti è rimasto molto ampio”, ha riferito una fonte palestinese. Oggi Indyk vedrà separatamente israeliani e palestinesi.
Ieri Nabil Abu Rudeina, portavoce di Abu Mazen, aveva detto in una conferenza stampa che l’Anp è ”aperta” a discutere tutti i temi con gli americani, inclusa un’estensione dei negoziati”. Ha poi sottolineato che questo aspetto ”non ha nulla a che fare con la liberazione della quarta tranche di prigionieri palestinesi”.
Alcuni deputati israeliani che mercoledì avevano incontrato Abu Mazen a Ramallah affermano che il presidente palestinese sarebbe intenzionato a estendere i negoziati per altri nove mesi, ma vuole che i primi tre mesi siano concentrati sui confini del futuro Stato palestinese e che sia fermata l’espansione della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Nena News