Distrutte per mano dell’Isis due antiche città assire in due giorni. Ora si teme per Khorasabad e per gli altri 1.800 siti archeologici all’interno del territorio controllato da Abu Bakr al-Baghdadi. Un destino, quello della perdita delle antichità, che accomuna Iraq e Siria
di Giorgia Grifoni
Roma, 9 marzo 2015, Nena News - Venerdì Nirmud, sabato Hatra e domenica forse Khorasabad. Gli appuntamenti dei miliziani dello Stato islamico con le antichità irachene non lasciano scampo neanche a un bassorilievo: tutto trafugato e, se troppo grande per essere venduto, raso al suolo. Sta accadendo nella provincia irachena di Niniveh, culla della civiltà assira, dove il Califfato ben impiantato dal giugno scorso è infastidito dalla presenza dalle oltraggiose rovine “pagane”: dopo aver dato fuoco lo scorso mese alla biblioteca di Mosul, distruggendo decine di libri e manoscritti rari, e dopo aver sbriciolato un gran numero di statue del periodo assiro nel museo archeologico della città, i miliziani dell’Isis hanno portato le loro ruspe intorno ai siti di Nimrud, 3 mila anni, e di Hatra, 2 mila anni, entrambe patrimonio dell’Unesco. E hanno dato il via alla carneficina.
La volontà sembra essere quella di distruggere il passato iracheno per smantellarne meglio lo stato attuale e controllarlo con più facilità. Ma nonostante l’Isis continui a ripetere che i tesori archeologici iracheni “promuovano l’idolatria” violando “la legge islamica”, autofinanziamento e propaganda sembrano essere gli obiettivi principali dell’accanimento islamista contro i siti archeologici di epoca preislamica. Autofinanziamento perché i manufatti trasportabili, secondo le autorità irachene, vengono fatti sparire dai siti abbandonati nel deserto e fatti ricomparire dall’altra parte della frontiera, in Turchia: questa, assieme alla vendita del petrolio dei pozzi presenti nelle zone occupate e a eventuali riscatti dai rapimenti, è, a detta degli analisti, la principale forma di guadagno del Califfato. E ciò che resta – palazzi, porte, templi – viene spazzato via.
La propaganda, invece, sembra più convincente dell’ideologia religiosa per spiegare le distruzioni: come fa notare un articolo del portale Middle East Online, infatti, è curioso che tre siti siano stati razziati in tre giorni a distanza di nove mesi dall’occupazione del territorio. I siti erano lì, a poche decine di chilometri dal quartier generale dell’Isis, e per quasi un anno nessuno si è accanito contro di loro. Al di là delle speculazioni, ora si teme non solo per Khorasabad, intorno alla quale domenica sono state segnalate le ruspe dell’Isis, ma anche per gli altri 1.800 siti che si trovano in quel terzo del territorio iracheno su cui si è imposto l’auto-proclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
Piangono le autorità irachene, che supplicano la comunità internazionale di bombardare i responsabili della perdita incommensurabile per un patrimonio storico e archeologico già ampiamente danneggiato e bistrattato da raid, guerre e mancanza di fondi. “Il mondo – ha detto ieri il ministro iracheno dei Beni Culturali, Adel Fahad al-Shershab in conferenza stampa – deve assumersi la responsabilità e porre fine alle atrocità dei miliziani, altrimenti penso che i gruppi terroristici continueranno con i loro atti violenti”. Interrogato sul tipo di responsabilità, Shershab ha chiesto chiaramente che la coalizione attivi i bombardamenti per proteggere il patrimonio iracheno: “Il cielo – ha aggiunto – non è nelle mani degli iracheni. Pertanto, la comunità internazionale deve muoversi con i mezzi che ha”.
La coalizione, dal canto suo, ha risposto di aver condotto 12 bombardamenti aerei tra sabato e domenica nelle zone controllate dallo Stato islamico, due delle quali intorno a Mosul, che avrebbero centrato “un’unità dell’Isis e due ruspe”, senza confermare però la loro posizione intorno a un sito archeologico. E piange anche l’Onu, che per bocca del Segretario Generale Ban Ki -Moon ha denunciato ieri i “crimini di guerra” compiuti dallo Stato islamico con la distruzione di Nimrud e Hatra. “Indignato” per i resoconti provenienti da Baghdad, Ban Ki-Moon ha invitato con urgenza la comunità internazionale a “mettere rapidamente fine a tali atroci attività terroristiche e a contrastare il traffico illecito di manufatti culturali”, chiedendo a gran voce che “i responsabili siano chiamati a rispondere”.
Scompare così un altro pezzo di quella Mezzaluna fertile tanto cara all’Occidente, per mano di quelle “schegge impazzite” che una volta erano “ribelli” che combattevano Bashar al-Assad finanziati dalla comunità internazionale. Un destino parallelo anche nella distruzione delle antichità, quello di Baghdad e Damasco: dei sei siti siriani protetti dall’Unesco, infatti, poco e niente si è salvato. Aleppo, una delle città più antiche del mondo abitate in modo continuativo, non esiste quasi più. Asserragliata nell’autunno del 2012 dai ribelli dell’Esercito siriano libero che volevano strapparla al regime, ha assistito alla distruzione di quasi tutto il suq, al danneggiamento delle mura di cinta e della cittadella e, infine, allo sbriciolamento del minareto millenario della moschea degli Omayyadi.
Se il centro storico di Damasco è solo un po’ malconcio per via delle decine di attentati che hanno straziato la capitale, Bosra ha visto il suo anfiteatro romano perfettamente conservato colpito diverse volte da bombe e raid aerei. Il Crac des Chevaliers, invece, fiore all’occhiello di una serie di castelli crociati costruiti dagli europei durante il Medioevo e sparsi su tutta la costa della Siria fino al Libano, all’inizio della guerra era stato scelto come fortino dai ribelli e ridotto quasi in macerie dai bombardamenti dell’esercito di Assad. Per quanto riguarda le Città Morte – un complesso di circa 800 villaggi bizantini sparsi nelle campagne a nord ovest di Hama, abbandonati circa mille anni fa e miracolosamente intatti – sono diventate gradualmente la base dell’esercito contro i ribelli delle zone circostanti e non sono certo state risparmiate dai bombardamenti che hanno colpito il centro abitato più vicino, Maaret al-Nuaman.
Ma ancora peggio è andata all’antica città seleucide di Palmyra. Secondo quanto denunciano gli esperti, la “sposa del deserto” è stata infatti abbandonata all’inizio della guerra (si trova a 240 km a nord-est di Damasco), spogliata notte dopo notte dei suoi tesori e costretta a veder trasportare i suoi pezzi più pregiati in Libano, da dove, come afferma un report del Washington Post, sarebbero partiti verso i paesi che ospitano i maggiori compratori di antichità trafugate: Stati Uniti, Europa, Israele. Le vendite, inutile dirlo, servivano all’Esercito siriano libero per autofinanziarsi. Nena News