L’ayatollah Khamenei rivela che due funzionari Usa avrebbero minacciato l’Iran di rappresaglie militari se l’accordo non fosse stato firmato. Ma la vera battaglia per Washington è quella che si sta consumando al Congresso per supervisionare l’accordo con Teheran
della redazione
Roma, 6 maggio 2015, Nena News - Il cammino verso la firma dell’accordo definitivo sul nucleare iraniano appare sempre più insidioso. Non bastavano gli aut-aut di Teheran, che appena siglato – con grande difficoltà – l’accordo quadro del 2 aprile scorso ha puntato i piedi sul congelamento “immediato di tutte le sanzioni o niente intesa” e nemmeno la battaglia che si sta consumando nel Congresso Usa per una legislazione che “supervisioni” il negoziato in corso: ora sarebbero spuntate delle “minacce militari” all’Iran da parte statunitense, che rischiano di rovinare il percorso fatto finora.
Ne ha fatto menzione la Guida Suprema della Repubblica islamica in persona, annunciando che Teheran non parteciperà ad alcun negoziato sotto minaccia di eventuali azioni militari. L’ayatollah Ali Khamenei, che ha l’ultima parola su tutte le questioni di Stato, ha dichiarato ai microfoni dell’emittente Press Tv che due funzionari Usa avrebbero minacciato l’Iran di rappresaglie militari se l’accordo non fosse stato firmato. “Tenere colloqui sul nucleare – ha detto Khamenei – con le grandi potenze sotto l’ombra di una minaccia è inaccettabile per l’Iran e non aiuterà il negoziato”.
Guardandosi bene dal dare ulteriori dettagli, l’Ayatollah ha poi espresso un timido sostegno al negoziato in corso, con un monito al rispetto, da parte sia dei funzionari iraniani che delle potenze del 5+1 (Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia + Germania), delle “linee rosse” di Teheran: “I nostri negoziatori dovrebbero continuare i colloqui rispettando le nostre linee rosse, senza accettare qualsiasi imposizione, umiliazione o minaccia”. Parole che complicano ulteriormente il raggiungimento di un’intesa definitiva entro il prossimo 30 giugno, dato che le linee rosse corrispondono ai nodi finora insormontabili del negoziato: sollevamento delle sanzioni (per Teheran tutto e subito, per il 5+1 gradualmente e con riserva di nuova imposizione) e modalità di sviluppo dell’energia atomica (la disputa è sul numero e tipo di centrali da mantenere e sulla sorte delle scorte di uranio altamente arricchito prima dei colloqui).
A rincarare la dose, poi, ci sta pensando il Congresso Usa con il famigerato Iran Nuclear Agreement Review Act of 2015, diventato quasi un’epopea legislativa al pari della riforma sulla sanità dell’amministrazione Obama. Dopo settimane di rimpalli al Senato con vari emendamenti, la bozza di legge preparata dal senatore repubblicano Bob Corker e dal suo omologo democratico Robert Menendez per una “legittima supervisione” da parte del Congresso Usa del negoziato con Teheran arriva ora a un punto di svolta: domani si terrà infatti il “voto di prova” sul disegno di legge in Senato, deciso dal leader della maggioranza Mitch McConnell per mettere fine allo stallo in cui si trova la norma.
Stallo in gran parte attribuibile ai senatori repubblicani Marco Rubio della Florida e Tom Cotton dell’Arkansas, che con una serie di emendamenti hanno cercato di modificare la bozza originale che, dopo minacce e polemiche, era riuscita a incassare il benestare della Casa Bianca. Il candidato presidente Rubio, ad esempio, insiste sul fatto che la leadership iraniana debba riconoscere pubblicamente il diritto di Israele a esistere: un punto di cui non hanno discusso neanche i negoziatori del 5+1, che sembra più materia di relazioni diplomatiche bilaterali che di legislazione interna di uno stato terzo. Non scherza neanche il senatore Cotton, fautore di un emendamento che vuole che, prima di sollevare le sanzioni, il presidente Obama “certifichi che l’Iran non stia architettando atti di terrorismo contro l’America o gli Americani”.
La supervisione di cui vanterebbe il Congresso con l’approvazione della norma riguarda sostanzialmente le sanzioni: bloccherebbe infatti un eventuale decreto del presidente Obama per il sollevamento delle misure punitive imposte dal Congresso a Teheran per almeno 30 giorni, in modo che nel frattempo i legislatori possano far pressione sull’accordo finale del 5+1 con l’Iran. Si prevede anche che, se i senatori dovessero disapprovare l’accordo, Obama perderebbe l’autorità che ha di sollevare alcune sanzioni economiche che il Congresso ha imposto all’Iran. Nena News
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