La dichiarazione di Mosca figlia della pressione regionale e globale. Ma un’unità reale richiede un serio impegno nel ristrutturare e reinventare il sistema politico palestinese
di Alaa Tartir – Al Jazeera
Ramallah, 25 gennaio 2017, Nena News – Le notizie giunte da Mosca in merito al governo di unità palestinese lascia interdetto il popolo palestinese. Da una parte un decennio di fallimenti nel realizzare accordi di riconciliazione tra i due principali partiti, Fatah e Hamas, testimonia che il business (di rivalità) resterà quello di sempre.
Per un lungo tempo, sia Fatah che Hamas hanno mostrato in molti modi di non avere la volontà né l’interesse in un accordo genuino che creasse un ponte nella divisione intra-palestinese, visto che l’attuale status quo conviene ad entrambi soprattutto in assenza di una qualsiasi forma di responsabilità locale popolare.
Dall’altra parte i recenti sviluppi locali, regionali e globali incrementano la pressione sulla leadership palestinese ad essere più reattiva nei confronti delle aspirazioni del popolo e più responsabile riguardo i danni che infliggono alla lotta palestinese per la giustizia e l’autodeterminazione.
A livello locale la recente ondata di proteste popolari a Gaza per i tagli di elettricità ha scioccato Hamas, il governo de facto della Striscia. Le proteste riflettevano una situazione fragile che può esplodere in qualsiasi momento e minacciare il governo di Hamas.
Intanto Fatah e l’Autorità Palestinese in Cisgiordania affrontano pressioni su tre fronti: l’intenzione del presidente Usa Trump di trasferire l’ambasciata statunitense a Gerusalemme; la crescente popolarità della strategia di annessione tra i leader israeliani; i tentativi disperati della leadership palestinese di andare dietro al sentiero del negoziato conIsraele dopo la conferenza di pace di Parigi di questo mese.
Inoltre, nonostante la crisi di legittimità che caratterizza il sistema politico palestinese e mentre si svela una nuova realtà regionale e globale, i leader politici palestinesi si sentono costretti a creare nuove realtà o almeno a impegnarsi più seriamente in un processo di cambiamento positivo per affrontare le prossime sfide e le opportunità politiche.
Si sentono obbligati a mostrare una quale reazione ai cambiamenti regionali e al nuovo ordine mondiale, specialmente di fronte al fatto che oggi la riconciliazione intra-palestinese è una questione regionale. La riemersione della Russia come attore centrale della sfera politica palestinese è indicativa di questo nuovo ordine mondiale.
La dichiarazione di Mosca sulla formazione di un governo di unità palestinese è stata il risultato di incontri intensi il mese scorso a Doha, Montreux in Svizzera, Il Cairo, Libano, e infine Mosca. Questa serie di meeting ha contribuito a far emergere il “momento maturo” a Mosca. Mentre Mosca raccoglieva il frutto, i semi erano stati piantati altrove, compresa la Palestina occupata.
Gli incontri, in particolare quelli con la società civile a Montreux, hanno mostrato il consenso tra le leadership delle fazioni politiche palestinesi, compresa Hamas, a formare un governo di unità. Un governo che si prefigura come politico e non tecnico e che sarebbe responsabile di raggiungere tre obiettivi: unificare le istituzioni del settore pubblico tra Gaza e Ramallah; affrontare la questione urgente della sicurezza palestinese, l’elettricità e la ricostruzione di Gaza; preparare le elezioni presidenziali, locali e parlamentari.
Certo è che questo governo, quando e se sarà formato, deve superare un paio di ostacoli nel breve periodo: passare il test del presidente Mahmoud Abbas e affrontare la comunità internazionale e le pressioni israeliane. Non è chiaro se Abbas darà via libera all’implementazione degli accordi presi a Mosca o continuerà ad insistere perché questo governo sia un “governo del presidente”, obbligato a portare avanti il suo programma politico e la sua visione. Ma Abbas si trova oggi sotto l’enorme pressione di venire ad un compromesso e affrontare la realtà dell’era-Trump con un fronte palestinese più forte.
Inoltre, Azzam al-Ahmad, capo della delegazione di Fatah nel dialogo con Hamas, ha menzionato diverse volte il mese scorso – più recentemente a Mosca – che interromperanno tutte le relazioni con il Quartetto per il Medio Oriente come corpo politico. Il significato di questa mossa sta nel ruolo problematico del Quartetto e il suo impatto distruttivo nel mettere una pezza alle divisioni intra-palestinesi.
Hamas, da parte sua, ha annunciato durante il meeting di Montreux di aver completato la sua nuova carta, dopo essere passata attraverso l’intera sua struttura interna. Questo cambiamento mostra la trasformazione che Hamas ha vissuto nell’ultimo decennio, per lo più dovuta alle dinamiche regionali e che dovrebbe essere saggiamente usata dalla comunità internazionale.
Nonostante le novità apparentemente positive e gli sviluppi, i palestinesi non dovrebbero illudersi che un’unità genuina sia raggiungibile nel breve periodo, né che la divisione interna possa essere rapidamente superata. Siamo ancora lontani, soprattutto perché mancano meccanismi di responsabilizzazione e perché l’implementazione sarà soggetta a rischi e ostacoli simili a quelli che hanno causato i precedenti fallimenti.
Garantire un’unità reale richiede un impegno serio nel ristrutturare e reinventare il sistema politico palestinese, le sue strutture e istituzioni. Significa che un accordo sul programma politico, i mezzi e gli obiettivi dovranno essere inclusivi.
A meno di effettivi meccanismi di responsabilizzazione, il popolo palestinese – nella sua continua marginalizzazione dal sistema politico – è comprensibilmente scettico riguardo una riconciliazione-deja vù. Il percorso dell’unità palestinese è chiaro, ma richiede una volontà politica forte e spirito di sacrificio. I meeting del mese scorso hanno fornito un’occasione d’oro ai leader politici palestinesi per disegnare una nuova realtà. La domanda resta: coglieranno stavolta questa opportunità?
Traduzione a cura della redazione di Nena News
Alaa Tartir è il direttore del think tank Al-Shabaka