Un articolo a firma di Rachel Stromusa, direttrice del Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele, pubblicato dal quotidiano israeliano, elenca le pratiche di tortura utilizzate dai servizi segreti interni nonostante siano state dichiarate illegali due decenni fa
della redazione
Roma, 18 settembre 2019, Nena News – Quella sentenza dell’Alta Corte di Giustizia israeliana di 20 anni fa è stata oggetto di studio in mezzo mondo. Eppure proprio il paese a cui si riferiva continua a disattenderla. A denunciarlo è la dottoressa Rachel Stromusa, direttrice del Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele, dalle colonne del quotidiano israeliano Haaretz: l’Alta Corte, nel settembre 1999, vietava il ricorso alla tortura, ampiamente utilizzata dallo Shin Bet, i servizi segreti interni, contro i prigionieri palestinesi.
Eppure, a due decenni di distanza, nulla è cambiato. Nonostante, ricorda Stromusa, la reazione dello Shin Bet a quella sentenza: “Lo Shin Bet decise il giorno stesso di darle piena attuazione – scrive la direttrice – Ami Ayalon, all’epoca capo dello Shin Bet, disse che l’organizzazione ‘si sarebbe adeguata’ alla sentenza dell’Alta Corte. Il cambiamento avvenuto il 6 settembre 1999 ha avuto un’enorme rilevanza. Prima di quella data, centinaia di palestinesi ogni anno venivano sottoposti a gravi violenze fisiche e psicologiche, che erano parte integrante di ogni arresto e di ogni interrogatorio”.
Tra queste lo shaking, scossosi violenti al torace con l’urto del cervello contro la scatola cranica. O lo shabah, l’inarcamento della schiena della vittima legata a una sedia inclinata, mentre ha la testa in un sacco. Tutte scomparse dalle “linee guida” dello Shin Bet. “Quindi, se il cambiamento del settembre 1999 è stato una vittoria così stupefacente, perché si parla ancora di tortura in Israele? – continua Stromusa – Perché, checché se ne dica, in Israele, come in altri Paesi, la tortura non è stata completamente eliminata. Lo Shin Bet continua a far uso di pesanti violenze fisiche e psicologiche durante gli interrogatori, con la consapevolezza e l’approvazione del Ministro della Giustizia, usando l’eufemistico termine ‘metodi speciali’. […] La costrizione in posizione piegata, la pressione su ossa e articolazioni, gli schiaffi e i pugni sono semplicemente tortura sotto mentite spoglie”.
Da cui l’appello, con cui l’esperta conclude il suo intervento su Haaretz: “Dopo vent’anni è giunta l’ora che quanto avviene nelle stanze degli interrogatori sia in linea con gli elevati standard così chiaramente descritti dal giurista Barak nella sentenza di maggioranza del settembre 1999. La svolta positiva cominciata allora non si è pienamente compiuta. È ora che le nostre forze di sicurezza concentrino tutte le loro energie in interventi sofisticati e informazioni di intelligence, e non nel far crollare un soggetto sotto interrogatorio con i metodi del pestaggio e della privazione del sonno”. Nena News
Ha collaborato alla stesura dell’articolo Elena Bellini