Il mattone fatto di ceneri sfida l’assedio e rispetta l’ambiente. Rialzarsi dalle macerie si può: nella Striscia ad insegnarlo sono giovani donne
di Rosa Schiano
Roma, 8 marzo 20147, Nena News – Tenacia e determinazione sono essenziali per raggiungere certi traguardi: lo sa bene Majd Masharawi, ventiduenne palestinese laureata in ingegneria civile presso l’Università Islamica di Gaza, decisa a dare un contributo alla ricostruzione di Gaza e ideatrice di un’alternativa al cemento che continua a scarseggiare nella Striscia sotto assedio.
Insieme alla sua collaboratrice Rawan Abdeltif, Masharawi ha tentato di trasformare in risorsa ceneri e macerie per la costruzione di mattoni ecosostenibili a basso costo. L’hanno battezzato “Green Cake”, per sottolineare la leggerezza del mattone e la sua natura ecocompatibile.
Ricostruire dalle ceneri. Riutilizzare le tonnellate di ceneri di combustione prodotte settimanalmente da fabbriche locali e che finiscono nelle discariche, senza il rispetto di norme per il loro smaltimento, consentirebbe di risolvere anche una questione ambientale e limitare l’inquinamento.
Da diverso tempo sono in corso studi a livello internazionale sulla ricerca di pratiche edilizie alternative e sostenibili per contrastare l’emissione di gas serra causata dalla produzione di cemento. Il processo di ricerca delle due laureate è durato oltre sei mesi, il prototipo di mattone è stato poi sottoposto a diversi test per misurare, ad esempio, forza compressiva, resistenza dei materiali, assorbimento di acqua. Non senza difficoltà e momenti di scoraggiamento, perché nella Striscia non esistono laboratori per condurre alcuni esami e analisi necessarie, mandare il prototipo in Cisgiordania non è stato possibile a causa del blocco.
La partecipazione a concorsi destinati agli imprenditori, tra cui un bando del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, ha permesso alle due giovani di far conoscere il progetto ma le difficoltà per uscire da Gaza hanno ostacolato la loro partecipazione e il contatto con finanziatori internazionali. L’aggiudicazione di un bando indetto da un incubatore locale di imprese start-up chiamato Mobaderoon III ha permesso loro di ottenere finanziamenti utili alla loro prima produzione lo scorso settembre, quando il primo cliente ha commissionato un muro esterno realizzato con mille mattoni.
Inoltre, la scorsa estate, il progetto ha vinto la Japan Gaza Innovation Challenge, un concorso giapponese per start-up e che offre opportunità di investire in progetti che migliorino le condizioni di vita a Gaza. Green Cake ha destato un discreto interesse in Giappone ed è stato considerato un prodotto innovativo. Una delegazione giapponese l’ha portato in Giappone al fine di ultimare i test rimanenti, che sono stati superati.
Masharawi, che ha chiesto alla delegazione di avere la possibilità di acquisire una maggiore competenza nella scienza dei materiali, andrà in Giappone questo mese per una formazione con Maeda, compagnia che si occupa di edilizia e di ingegneria, dove alcuni esperti l’aiuteranno a sviluppare ulteriormente il suo Green Cake.
Il prezzo a buon mercato di Green Cake ha attratto l’interesse locale, considerato che un camion di sabbia costerebbe circa 200 dollari a fronte dei 25 dollari della stessa quantità di ceneri. Tuttavia, parte della popolazione ancora reticente non è pronta a rischiare di investire sul nuovo prodotto o fiduciosa in alternative al cemento. Per Masharawi, sarà il tempo a confermare la sostenibilità e la resistenza del Green Cake.
Alcuni studi rivelerebbero che non esiste una reale alternativa al cemento con le sue stesse caratteristiche in termini di qualità e resistenza, ma Masharawi continua a confidare nell’uso di geopolimeri, fatti di materiali inorganici come l’alluminosilicato, che però, a differenza del cemento, non possono durare a lungo. Il Green Cake costituirebbe allora una soluzione temporanea, adatta alla condizione emergenziale di Gaza.
Se il progetto dovesse proseguire, la giovane ideatrice di Green Cake vorrebbe aprire uno stabilimento dove assumere lavoratori e contribuire a contrastare l’elevato tasso di disoccupazione che si attesta attorno al 43%.
Masharawi guarda avanti e spera che un giorno Gaza possa essere meno dipendente dalle importazioni di materiali da costruzione. Il blocco decennale di Gaza, con la devastazione causata da tre guerre in soli sei anni, ha paralizzato l’economia della Striscia e causato disoccupazione e povertà.
L’ingresso di materiali considerati “a doppio uso” è stato vietato da Israele o consentito in quantità limitate. Ciò ha prodotto un rallentamento nel processo di ricostruzione, poiché i palestinesi devono ottenere una serie di approvazioni per importare cemento o altri materiali edilizi, soprattutto dopo l’ultima offensiva israeliana del 2014, quando circa 17mila case sono state distrutte o gravemente danneggiate, circa 75mila persone restarono sfollate, secondo dati delle Nazioni Unite, mentre molti continuano attualmente a vivere in prefabbricati realizzati con pannelli di lamiera, altri restano in attesa della disponibilità di materiali per terminare le loro abitazioni solo parzialmente ricostruite. Finora, solo il 20 % delle abitazioni sarebbero state ricostruite. Nena News