Sul tavolo i poteri del governo Hamdallah a Gaza, le elezioni e, più di tutto, la sicurezza. Le armi in possesso della milizia di Hamas sono il nodo che deciderà il successo o il fallimento di questo tentativo di riconciliazione
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Gerusalemme, 11 ottobre 2017, Nena News – Le elezioni, il rapporto tra il governo palestinese in carica e la struttura amministrativa di Hamas a Gaza, la futura Olp e la sicurezza. Questi i temi principali sul tavolo ieri al Cairo alla ripresa dei colloqui tra i delegati del partito Fatah, guidato dal presidente Abu Mazen, e quelli del movimento islamico Hamas.
Obiettivo: applicare i punti dell’accordo di riconciliazione nazionale palestinese del 2011 e mettere fine ad uno scontro interno che dura da oltre dieci anni. Il faccia a faccia nella capitale egiziana è avvenuto ad una settimana dal ritorno a Gaza del premier dell’Autorità nazionale palestinese Rami Hamdallah e dei suoi ministri, in seguito alla disponibilità manifestata dalla leadership di Hamas di accogliere alcune delle condizioni poste da Abu Mazen per la ripresa del dialogo.
In entrambe le delegazioni, giunte lunedì notte al Cairo, spicca la presenza dei capi dei rispettivi servizi di sicurezza. Se quella di Fatah è guidata, ancora una volta, da Azzam al Ahmad, ad avere il ruolo principale è comunque Majd Faraj, il comandante dell’intelligence dell’Anp.
Dall’altra parte il protagonista è il capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, uno dei fondatori del braccio armato del movimento islamico, le Brigate Ezzedin al Qassam, e interlocutore diretto di Mohammed Deif, il comandante militare di Hamas. A mediare c’è l’Egitto con finalità al momento non chiare. Ieri il presidente Abdel Fattah al Sisi, con una nota diffusa dal suo ufficio, ha precisato che «l’iniziativa egiziana è stata avviata per raggiungere l’unità dei palestinesi che porterà a una pace giusta con Israele».
Le armi in possesso della milizia di Hamas sono il punto critico che deciderà il successo o il fallimento di questo nuovo tentativo che Fatah e Hamas fanno per mettere fine allo scontro interno e alla separazione tra Cisgiordania e Gaza. Gli islamisti hanno messo in chiaro che quelle armi non si toccano e resteranno sotto il controllo di Hamas. Fatah è diviso. Non mancano nel partito di Abu Mazen i sostenitori della flessibilità verso Hamas in nome dell’unità nazionale – tra questi il capo di Fatah in Cisgiordania, Marwan Barghouti, detenuto in Israele – accanto a coloro che invece si oppongono all’idea di due distinte forze militari: una dell’Anp in Cisgiordania e un’altra di Hamas a Gaza.
Abu Mazen vuole un’unica sicurezza, sotto la sua autorità. E così pensa anche Jibril Rajoub, uno dei leader di Fatah. Le altre formazioni politiche palestinesi spingono per un compromesso. «Non voglio che Hamas rinunci alla propria milizia – ha detto ai giornalisti Mustafa Barghouti, capo del partito di opposizione Mubadara – perché è un sistema a protezione degli abitanti di Gaza». Gli israeliani, ha aggiunto «ne hanno uno tra i più potenti al mondo e posseggono anche testate nucleari. Quindi perché Hamas dovrebbe rinunciare al suo?». Barghouti si è detto a favore dell’invio a Gaza di truppe dell’Onu per garantire protezione alla popolazione civile.
Michele Giorgio è su Twitter: @michelegiorgio2