La procura ha ordinato la custodia per quattro giorni di due poliziotti, accusati di averlo torturato e ucciso. Era stato arrestato poche ore prima. Intanto Abdel Fattah al Sisi fa il pigliatutto, per i suoi rivali non c’è spazio alle presidenziali
di Chiara Cruciati
Roma, 11 gennaio 2018, Nena News – Prima picchiato, poi lasciato morire di emorragia interna sul pavimento di una cella: è la ricostruzione dei fatti proposta dall’agenzia indipendente egiziana Mada Masr delle ultime ore di vita del 22enne Mohamed Abdel Hakim Mahmoud, conosciuto da tutti come Afroto. Dalle testimonianze dei compagni di cella e dai risultati dell’autopsia emerge una versione molto distante da quella fornita in prima battuta dalla polizia della stazione di al-Muqatam, quartiere operaio a sud est del Cairo: Afroto non è morto di overdose. È stato picchiato subito dopo l’arresto, poi sbattuto in una cella.
Gli altri detenuti hanno chiesto aiuto perché Afroto lamentava forti dolori all’addome: la risposta è stata il calcio di un poliziotto, che lo ha ucciso. L’autopsia nega la presenza di droghe nel corpo del giovane ma rivela lacerazione della milza e emorragia addominale. Subito la morte del giovane aveva provocato la rabbia del quartiere: venerdì notte, dopo l’annuncio del decesso, centinaia di persone hanno provato ad assaltare la stazione di polizia, che ha reagito arrestando 43 persone e ferendone nove.
Ieri una svolta: la procura del Cairo-Sud ha ordinato la custodia per quattro giorni di due poliziotti, accusati di aver torturato e ucciso Afroto. Era stato arrestato poche ore prima, con l’accusa di spaccio di droghe. Lo hanno preso a calci e caricato a forza su un cellulare, raccontano testimoni a Mada Masr, nonostante non avessero trovato nulla perquisendolo in strada.
Intanto il presidente-dittatore Abdel Fattah al Sisi fa il pigliatutto. Erano già tanti ma continuano ad aumentare: da martedì il numero di parlamentari che sostengono la candidatura del presidente al-Sisi – che di suo ancora non si è fatto avanti, ma lo farà – alle presidenziali di marzo è salito da 466 a 510 su 596. Un dato da non tralasciare: la legge egiziana richiede come requisiti a chi voglia candidarsi alla presidenza 20mila firme di cittadini e 20 deputati a sostegno.
Ne restano «liberi» 96, come vada la corsa non sarà certo affollata. A denunciare una legge «troppo restrittiva» è Mohamed al Sadat, nipote dell’ex presidente Anwar e potenziale candidato se il clima, dice, non fosse così «scoraggiante»: Sadat non è ancora riuscito a presentare il suo programma alla stampa.
Stesso problema per Khaled Ali, candidato della sinistra, su cui pesa anche una condanna in primo grado per «gesti osceni». L’appello sarà il 7 marzo: se la condanna verrà confermata, sarà arrestato e perderà il diritto a concorrere.
E poi c’è l’ex uomo forte di Mubarak, Ahmed Shafiq, il cui tentativo di candidarsi è ormai una saga: cacciato dagli Emirati dove viveva, detenuto in Egitto al suo rientro e poi rilasciato, si è «volontariamente» ritirato due giorni fa, ufficialmente perché non si ritiene «l’uomo giusto al momento attuale».
Ufficiosamente, dicono fonti a lui vicine, per le pressioni del Cairo che avrebbe minacciato di tirare fuori vecchie storie di corruzione. Sicuramente vere, verrebbe da dire, visto il ruolo giocato negli anni di Mubarak, prima nell’esercito fino al grado di capo di Stato maggiore e poi come primo ministro nel gennaio 2011 per placare (invano) le piazze.
Le elezioni si terranno dal 26 al 28 marzo (dal 16 al 18 per gli elettori all’estero) e l’eventuale ballottaggio dal 24 al 26 aprile. Per candidarsi c’è tempo fino al 29 gennaio, sempre che si superino le forche caudine del parlamento. Nena News