Sono Lina Raheid al-Betar e Nidaa Dar Salah del distretto di Nablus. L’anno scorso a vincere il prestigioso premio fu la palestinese Hanan al-Hroub. Una vittoria non solo personale, ma di un popolo intero sotto occupazione. E, soprattutto, un trionfo femminile
di Roberto Prinzi
Roma, 3 novembre 2016, Nena News - Due insegnanti palestinesi del distretto di Nablus (nord della Cisgiordania) si sono qualificate per partecipare al premio “Miglior insegnante dell’anno” organizzato dalla Varkey Foundation. Le due maestre qualificate alle fasi successive della competizione, Lina Raheid al-Betar e Nidaa Dar Salah, sono state scelte tra 18 insegnanti palestinesi che si erano registrati per partecipare al concorso.
Al-Betar insegna inglese nella scuola elementare Bir Quza e si è distinta per la sua strategia di insegnamento dove il materiale didattico viene presentato agli alunni attraverso le canzoni e i giochi. In tal modo, sostiene, gli studenti imparano ad amare il processo di apprendimento e, divertendosi, apprendono più facilmente. Indispensabile, però, è anche l’uso della tecnologia che stimola gli alunni a pensare in modo creativo e consente una comunicazione diretta tra la scuola, i genitori e la comunità locale.
Dar Salah, insegnante di prima elementare per ragazze di Beita, ha invece attirato l’attenzione per il suo metodo di insegnamento che ha chiamato “il mio diritto di imparare in amore e in pace”. Obiettivo della sua iniziativa è liberare gli alunni dalle restrizioni perché, afferma, ciascuno di loro ha capacità diverse che devono essere liberate per essere sviluppate. Nei suoi sette anni passati ad insegnare nelle prime, Dar Salah ha inventato un percorso educativo dove la tecnologia si combina con il teatro, il canto, la recitazione e stimola lo studente a partecipare attivamente alle elezioni. In particolar modo, il suo lavoro si è concentrato sui giovani con bisogni particolari che, spronati, devono diventare protagonisti dentro e fuori la scuola.
Non è la prima volta che il popolo palestinese può vantare dei suoi insegnanti tra i finalisti del premio della Varkey Foundation. L’anno scorso, infatti, a vincere l’importante riconoscimento è stata l’insegnante Hanan al-Hroub. Sostenitrice convinta della non violenza, durante la cerimonia di premiazione a Dubai al-Hroub non nascose la sua soddisfazione «Sono orgogliosa di essere su questo palco e accetto questo premio come una vittoria per tutti gli insegnanti e in particolare per quelli palestinesi». Mentre pronunciava queste parole, nei Territori Occupati migliaia di persone erano incollate alla tv applaudivano e scandivano slogan per la Palestina.
Nell’intervista concessa a Michele Giorgio sul Manifesto, Ghassan al Khatib, analista e professore dell’Università di Bir Zeit, spiegò che «il premio dato ad Hanan al Hroub ripaga gli sforzi di tutti gli insegnanti palestinesi e conferma che la nostra scuola è valida e con grandi capacità educative al contrario di ciò che sostiene Israele». Un sistema scolastico che è invece spesso sotto accusa da parte dello stato ebraico perché incoraggerebbe “all’odio contro gli ebrei” spingendo molti studenti a diventare i “terroristi” del futuro. Il successo di al-Hroub, prima di essere un suo successo personale, ha rappresentato dunque una vittoria del popolo palestinese: nonostante l’occupazione israeliana (e quindi la violenza che da essa ne deriva da un punto di vista fisico e psicologico) è possibile insegnare al rispetto dell’altro e alla convivenza pacifica. Con buona pace di quello che sostiene il governo israeliano, molte figure politiche dell’opposizione e molte associazioni di monitoraggio statunitensi.
Le motivazioni che hanno spinto al-Hroub a diventare maestra ne sono la prova. Cresciuta nel campo di Dheishe (Betlemme), “la migliore insegnante del mondo del 2016” ha detto alla stampa di aver deciso di diventare insegnante quando comprese che doveva fare qualcosa di innovativo per far superare ai suoi figli il trauma del grave ferimento del padre avvenuto a Dheishe mentre i soldati israeliani sparavano contro i dimostranti palestinesi. Lo shock condizionò molto il comportamento, la personalità e i voti dei miei figli» ricordò in un filmato girato prima dell’assegnazione del premio. Elaborò e applicò pertanto nuove metodologie di insegnamento e in breve tempo il comportamento e il rendimento scolastico dei figli migliorarono sensibilmente, tanto da convincerla ad applicarle in classe.
Con al-Betar e Dar-Salah ancora una volta sono prepotentemente protagoniste le donne. Donne palestinesi, donne musulmane, donne velate, donne madri, ma innanzitutto e soprattutto donne con il loro vissuto, con le loro risposte ai traumi dell’occupazione israeliana. Donne con la loro preparazione, con la loro creatività e con la loro passione. Donne a tutto tondo, non più semplici custodi del focolare domestico come univocamente raccontano la stampa e i presunti esperti occidentali del Medio Oriente. In una fase storica come quella attuale, dove l’islamofobia occidentale dilagante, promossa e sostenuta dai cacciatori di veli e dei burkini vari, si scarica principalmente sui corpi delle musulmane (“prove inconfutabili dell’arretratezza dell’Islam”), anche un premio di una fondazione benefica, per quanto effimero, può essere uno squarcio di sole che si fa largo tra le nuvole delle negatività e dei pregiudizi anti-islamici europei e statunitensi. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir