Oggi corteo alle 14 da Piazza della Repubblica, a 21 anni dalla cattura di Abdullah Ocalan. Parla Yilmaz Orkan (Uiki): «Erdogan sta creando una cintura jihadista nel nord est della Siria. Centinaia di migliaia gli sfollati, sostituiti dalle famiglie degli islamisti»
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 15 febbraio 2020, Nena News – Un presidio a Strasburgo e un corteo a Roma, manifestazioni a Copenaghen, Oslo, Stoccolma: l’Europa dei movimenti e della sinistra si mobilita oggi a difesa del Rojava e per la liberazione del leader del Pkk Abdullah Ocalan e dei prigionieri politici nelle carceri turche. L’occasione è il 15 febbraio, 21 anni dalla cattura di Ocalan in Kenya per mano dei servizi segreti turchi.
A Strasburgo l’appuntamento è di fronte al Consiglio d’Europa (di cui Ankara è parte): sono previste 50-60mila persone, di cui centinaia arrivate nella città francese dopo lunghe marce da Lussemburgo, Francoforte e Ginevra.
Tre gruppi in cammino dalla scorsa settimana, internazionalisti, giovani curdi e donne, a cui oggi si affiancheranno idealmente movimenti, sindacati di base, partiti della sinistra, centri sociali, cittadini che a Roma alle 14 daranno vita al corteo che da piazza della Repubblica raggiungerà piazza Venezia.
«Per noi questi cortei sono fondamentali a spezzare l’isolamento di Ocalan e degli altri prigionieri del Pkk, un isolamento che in passato è stato possibile rompere per qualche giorno grazie alla solidarietà internazionale e agli scioperi della fame dei deputati curdi in Turchia», ci spiega Yilmaz Orkan dell’Ufficio informazione del Kurdistan in Italia (Uiki), organizzatore dell’iniziativa romana insieme a Rete Kurdistan, Centro Ararat e Comunità curda in Italia.
Diritti come quello all’autodeterminazione, che nel nord est della Siria la Turchia viola quotidianamente con un’occupazione militare brutale, avallata da Washington e Mosca. «Prima del 9 ottobre scorso – continua Yilmaz – con il crollo dell’Isis la situazione nel Rojava era diventata più tranquilla, stabile. Tantissimi sfollati sono tornati dalla Turchia e dal Kurdistan iracheno e l’Autonomia dava servizi ai cittadini, cibo, educazione, sanità. Con il ritiro Usa e l’attacco turco del 9 ottobre altre due città, Serekaniye e Gire Spi (Ras al-Ain e Tal Abyad in arabo, ndr), sono state occupate e altre 400mila persone sono fuggite dai loro villaggi».
Oggi lungo il confine turco-siriano ci sono militari del governo di Damasco e truppe russe, mentre gli americani si sono spostati ad Hasakeh e Deir Ezzor, a protezione – come pomposamente rivendicato da Trump – dei pozzi di petrolio alla frontiera con l’Iraq.
«La situazione rispetto a un mese fa è migliorata, ci sono meno bombardamenti con droni e aerei. Ma ancora oggi ci sono centinaia di migliaia di sfollati che non possono rientrare nelle città occupate dalla Turchia e che vivono nelle scuole e nei campi profughi aperti dall’Autonomia del Rojava». «Molti altri sfollati – aggiunge Yilmaz – si muovono da Idlib verso Manbij e Kobane. È necessario un intervento internazionale per difendere il Rojava, per impedire alla Turchia di avanzare ulteriormente e all’Isis di ritornare. Protetto dall’avanzata di Ankara, Daesh ha ritrovato coraggio e spazio e sta compiendo attacchi. La Turchia è oggi l’ombrello di tutti i gruppi jihadisti presenti in Siria».
Idlib è il cuore pulsante della presenza jihadista e, da mesi, dello scontro ormai aperto tra Ankara e Damasco, che sta trascinando dentro la Russia nemica-amica della Turchia. «L’Autonomia e il Congresso nazionale del Kurdistan stanno aprendo canali di dialogo con il governo di Assad per difendere insieme e meglio la Siria dall’offensiva di Erdogan. Il cui obiettivo è chiaro: prendersi un pezzo di paese. Ad Afrin, Jarabulus, Idlib sono i jihadisti che gestiscono la vita quotidiana, anche a livello amministrativo. Anche il sistema educativo è cambiato, la prima lingua è il turco e non l’arabo».
Un’assimilazione che, secondo Yilmaz, prepara il terreno per il futuro. Un futuro che è già realtà con il trasferimento delle famiglie dei jihadisti nei villaggi curdo-siriani: «Sta avvenendo ovunque, ad Afrin, Jarabulus, Serekaniye, Gire Spi. I curdi sono fuggiti e subito sono stati sostituiti non da cittadini siriani, da profughi, ma dalle famiglie dei jihadisti. I civili arabo-siriani possono venire quando vogliono, non sono loro il problema. Erdogan sta creando una cintura arabo-jihadista di 100 km per 35 per spezzare la continuità territoriale e culturale della Siria e del Kurdistan». Nena News