Cinque attacchi stamattina a Kobani e ad al-Bukamal. Londra scalda i motori per entrare in guerra (ma forse solo in Iraq), mentre incerta resta la posizione turca. Kerry afferma che “sarà in prima linea”, ma Ankara continua a tacere.
di Roberto Prinzi
Roma, 24 settembre 2014, Nena News -Continua senza sosta la campagna militare occidentale – sostenuta anche da 10 paesi arabi – in Siria e in Iraq. Cinque raid aerei hanno colpito stamane i territori controllati dallo Stato Islamico (Isil) in Siria vicino al confine iracheno. Nella notte, invece, i bombardamenti della coalizione internazionale si sono concentrati nei pressi del confine con la Turchia.
Secondo il direttore dell’Osservatorio siriano dei diritti umani, Rami Abd al-Rahman, gli aerei da guerra avrebbero colpito vicino al confine turco a ovest di Kobani (conosciuta anche come ‘Ayn al-‘Arab) e ad al-Bukamal sul confine iracheno. Al momento non è possibile dire con certezza chi abbia effettuato gli attacchi. Tuttavia, secondo quanto riferisce Abd al-Rahman, gli aerei provenivano dalla Turchia. “La gente e gli attivisti di lì sostengono che i raid sono probabilmente della coalizione, non del regime. Le esplosioni sono molto più forti rispetto a quelle di ieri”.
Ieri per la prima volta i caccia americani – con la cooperazione di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Giordania – avevano colpito il territorio siriano. “E’ soltanto un inizio” aveva subito promesso un portavoce dell’esercito statunitense ad una stampa affamata di notizie e dettagli dell’operazione. Il portavoce è stato di parola. Basta a chiedere agli abitanti di Kobani e al-Abukamal. La prima cittadina (a predominanza curda) era stata attaccata dall’Isis la scorsa settimana. Un offensiva feroce che aveva costretto alla fuga verso la Turchia più di 130.000 curdi siriani. La seconda, invece, è tra i principali valichi di confine tra la Siria e l’Iraq. Una frontiera che l’Isil vuole far sparire del tutto avendo annunciato a giugno l’entità transnazionale chiamata “califfato”. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio siriano al-Abukamal è stata colpita dalla coalizione ben 22 volte nella sola giornata di ieri.
Il governo siriano, intanto, ha invitato nuovamente l’occidente a coordinare gli attacchi contro l’Isil con Damasco. In una intervista alla BBC News, l’assistente del Ministro dell’Informazione, Bassam Abu Abdallah, ha detto che “[noi siriani] stiamo affrontando lo stesso nemico [vostro] e pertanto dovremmo collaborare”. Abu Abdallah ha ribadito che gli Usa avevano informato il regime siriano prima che iniziassero i bombardamenti a Raqqa e ha sottolineato la necessità di includere nella coalizione internazionale oltre al suo Paese anche la Russia, la Cina e l’Iran.
A Londra, nel frattempo, fremono i preparativi dei bombardamenti. Stamattina, intervistato dalla BBC Radio 4, il leader laburista Ed Miliband ha dichiarato che il suo partito sosterrà un attacco in Iraq (“è una minaccia che non può essere ignorata”) ma non in Siria (“la situazione è qui in qualche modo differente. La Siria, a differenza dell’Iraq, non ha chiesto un intervento”). Posizione della “sinistra” britannica che collima con quella enunciata dal premier di destra David Cameron. Downing Street è stata chiara: “la Gran Bretagna non può tirarsi fuori dalla battaglia contro l’Isis. Aspetta solo di sentire una richiesta formale da Baghdad per lanciare gli attacchi aerei contro i militanti”. Richiesta che, secondo la stampa inglese, dovrebbe essere presentata dal primo ministro iracheno Haidar al-Abadi oggi all’incontro delle Nazioni Unite a New York. “Queste persone – ha aggiunto Cameron riferendosi ai fondamentalisti guidati da Abu Bakr al-Baghdadi – vogliono ammazzarci. Dobbiamo mettere su questa coalizione per assicurarci che alla fine riusciremo a distruggere questa organizzazione del male”. Venerdì il Parlamento dovrebbe dare la luce verde per gli attacchi.
Una notizia che rallegrerà sicuramente Barack Obama. Ieri il Presidente Usa ha espresso tutta la sua soddisfazione per la partecipazione di cinque stati arabi all’offensiva in Siria.“Questa è la prova che non è soltanto una guerra americana” ha dichiarato riferendosi al contributo dato da Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Giordania. Proprio però il coinvolgimento giordano potrebbe essere alla base degli scontri che hanno avuto luogo stamattina tra i soldati di Amman e miliziani armati al confine tra la Siria e il Regno hashemita. Fonti di sicurezza giordane, citate dall’Agenzia Anadolu, sostengono che dei miliziani avrebbero tentato di infiltrarsi in Giordania ma sarebbero state respinti dalle forze di sicurezza. Poche sono ancora le notizie ed è difficile verificarle. Secondo fonti vicino ai gruppi di opposizione siriana, il conflitto a fuoco sarebbe avvenuto nella giordana Zayzun a pochi chilometri dalla Siria.
Ambiguo resta l’atteggiamento della Turchia. Erdogan ha mantenuto finora un basso profilo non volendo unirsi alla coalizione internazionale per paura di ritorsioni sul suo territorio e, fino ad alcuni giorni fa, per la sorte dei suoi 46 cittadini rapiti dall’Isil a giugno e liberati solo sabato. Ieri, però, Kerry ha affermato che Ankara è pronta ad unirsi al fronte anti-Isis. “La Turchia – ha detto ieri il Segretario di Stato statunitense al forum globale contro il terrorismo – è parte di questa coalizione e sarà impegnata in prima linea”. Le autorità turche per il momento non smentiscono né confermano. Piuttosto preferiscono restare vaghi affermando di “impegnarsi a combattere il terrorismo” (come ha ribadito ieri il neo Ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu). E hanno le bocche cucite di fronte alle ricostruzioni della stampa locale secondo cui la Turchia sarebbe scesa a patti con l’Isil per la liberazione dei suoi cittadini. Il quotidiano Hurriyet sostiene che i ribelli siriani hanno rilasciato 50 membri dello Stato Islamico – tra cui anche un importante leader radicale – in cambio dei 46 prigionieri di Ankara.
Di fronte ai no comment turchi una domanda nasce spontanea: come è possibile che uomini spietati come quelli dell’Isil abbiano liberato i prigionieri senza aver nulla in cambio? Sono stati improvvisamente folgorati sulla via di Damasco? O, come più probabile, c’è stato uno scambio? Da uno stato che per più di tre anni ha lasciato i suoi confini con la Siria aperti affinché potessero entrare più combattenti possibili (“moderati” e non) per abbattere il regime di al-Asad qualche dubbio sulla purezza delle capacità negoziali turche è d’obbligo. E se c’è stato un compromesso con i jihadisti, con quale credibilità Ankara “sarà impegnata in prima linea” a combattere l’Isil? Nessuna, ma poco importa: perché in una coalizione formata dai paesi del Golfo e dagli occidentali, primi finanziatori e sostenitori dei ribelli “moderati”, tutto è consentito. In nome, ovviamente, della libertà. Nena News