Il leader dell’Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste (Ira) sta scontando nella famigerata «Guantanamo dell’Africa occidentale» una condanna a due anni di carcere. Per aver preso parte a una manifestazione non autorizzata, recita la sentenza. Per aver sfidato il presidente Mohamed Ould Abdel Aziz alle scorse presidenziali, dicono invece i suoi seguaci
di Gilberto Mastromatteo – il manifesto
Roma, 26 ottobre 2015, Nena News - Rischia di morire in carcere Biram Dah Abeid, il Madiba di Mauritania. Il leader antischiavista dell’Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste (Ira) è rinchiuso da quasi un anno nel penitenziario di Aleg, la famigerata «Guantanamo dell’Africa occidentale». E le sue condizioni di salute stanno peggiorando rapidamente. «Biram Abeid soffre di diabete, ernia del disco e ipertensione – la denuncia, lanciata dall’Osservatorio per la protezione dei difensori dei diritti umani – lamenta forti dolori addominali, vertigini, difficoltà di movimento e gravi disturbi del sonno».
«Siamo davvero preoccupati per la situazione – ci spiega Ivana Dama, portavoce di Ira in Italia – da qualche mese le autorità mauritane stanno negando a Biram l’accesso alle cure mediche e hanno inspiegabilmente limitato le visite in carcere. L’unica a venire ammessa, per sole due volte la settimana, è sua moglie. Che è anche l’unica a portargli del cibo decente».
Nel 2012 Abeid era finito in cella per aver dato fuoco in pubblico ad alcune presunte pagine del Corano, mediante le quali venivano indottrinati gli schiavi ad essere fieri della loro condizione. Oggi sta scontando una condanna a due anni di carcere. Per aver preso parte a una manifestazione non autorizzata, recita la sentenza. Per aver sfidato il presidente Mohamed Ould Abdel Aziz alle scorse presidenziali, dicono invece i suoi seguaci.
Il popolo degli ex schiavi haratine che alle elezioni del 21 giugno 2014 lo ha premiato con il 9% dei consensi. Una sorta di piccola rivoluzione in un paese dove si calcola che siano ancora 700 mila gli abd che vivono alle dipendenze di un padrone arabo-berbero (bidane, bianco), malgrado la schiavitù sia stata formalmente abolita per legge nel 1981.
Lo hanno arrestato pochi mesi dopo il voto, l’11 novembre, a seguito di una carovana di protesta organizzata a Rosso, al confine con il Senegal. A dicembre è giunta la prevedibile sentenza nei confronti suoi, del suo braccio destro Ould Brahim Bilal Ramdane e di Djiby Sow, leader di un’altra ong abolizionista, la Kawtal ngam Yellitaare. Resistenza alla forza pubblica, manifestazione non autorizzata e appartenenza a un’organizzazione non riconosciuta, i capi d’accusa per Abeid e Ramdane cui, lo scorso 20 agosto, è stata negato un ricorso in appello.
Poi nuovi arresti e nuove intimidazioni. Lo scorso 18 luglio l’attivista Yacoub Diarra, marito di Ivana Dama e anch’egli rappresentante di Ira Italia, è stato prelevato dalle forze dell’ordine, in piena notte, trascinato al commissariato di Dar-Naïm, poi rilasciato. Era tornato in Mauritania per celebrare la fine del Ramadan e far visita a Biram.
«Oggi Biram ha bisogno di cure urgenti — aggiunge Ivana Dama -. Lanciamo un appello a politica e istituzioni perché intervengano. Non facciamo di lui l’ennesimo eroe postumo». Nena News