Sotto pressione della nuova amministrazione americana, la petromonarchia fa qualche concessione sui diritti umani: l’attivista Loujain al-Hathloul sarà rilasciata giovedì, commutate in 10 anni di carcere le condanne a morte di tre giovani sciiti. Ma la natura del regime non cambia: si adatta per togliere le castagne dal fuoco all’alleato
della redazione
Roma, 9 febbraio 2021, Nena News – Washington chiama, Riyadh risponde. A stretto giro dagli annunci di politica estera della nuova amministrazione Biden, l’Arabia Saudita prova a ingraziarsi il neo presidente. La scorsa settimana Biden aveva annunciato la fine del sostegno americano alla guerra guidata dai Saud contro lo Yemen, iniziata nel marzo 2015, un sostegno che si era finora concretizzato in scambio di intelligence, vendita di armi, utilizzo dei droni contro al Qaeda nella Penisola Arabica.
Ma i mal di pancia bipartisan per le politiche iper repressive della petromonarchia e l’omicidio di Jamal Khashoggi, editorialista del Washington Post fatto a pezzi nell’ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul, avevano già portato a condanne ad alta voce dell’alleato storico del Golfo e a un rapporto (secretato) della Cia che indicava il principe ereditario Mohammed Bin Salman come mandante. Da cui la decisione di fermare temporaneamente la vendita di armi.
Con una botta al cerchio, non è mancata quella alla botte: appena due giorni fa, Biden ha annunciato anche il mantenimento delle sanzioni contro l’Iran, un regalo palese all’asse israelo-saudita che vede in Teheran il nemico numero uno da rendere innocuo.
In ogni caso l’Arabia Saudita corre ai ripari, costerebbe troppo un raffreddamento delle relazioni con gli Stati Uniti. Al ministro degli esteri saudita Faisal bin Farian l’ha ricordato la scorsa settimana il nuovo segretario di Stato Usa Blinken, al telefono. Ed è intervenuta su una delle sue caratteristiche strutturali, l’uso esteso della prigionia politica. Ieri Alia al-Hathloul ha rivelato con un post su Twitter che la sorella Loujain, nota attivista per i diritti delle donne, arrestata nel 2018 negli Emirati arabi (dove viveva) per aver preso parte alla campagna per il diritto di guidare, potrebbe essere rilasciata giovedì.
Nonostante il divieto di guidare sia stato cancellato dal principe ereditario Mohammed bin Salman, l’attivista è stata comunque tenuta in detenzione insieme ad altre attiviste. Ora, dopo oltre mille giorni di prigione e denunce di torture e abusi, Loujain al-Hathloul potrebbe tornare a casa. Alla fine dello scorso anno era stata condannata a sei anni di prigione con l’accusa di aver intrattenuto contatti con presunte e non identificate potenze straniere. La corte aveva “scalato” dai sei anni quelli già trascorsi in prigione e previsto comunque un rilascio anticipato: avrebbe dovuto essere liberata a marzo.
“Oggi stavo controllando i miei impegni di lavoro per questa settimana nell’agenda. Per l’eccitazione ho cancellato tutti i meeting di giovedì, 11 febbraio, e preso il giorno libero – ha scritto Alia – Secondo l’ordine del giudice, Loujain sarà rilasciata giovedì”. Che ci sia lo zampino americano è chiaro. A dicembre, quando Hathloul fu condannata a sei anni, Jake Sullivan – che di lì a poco sarebbe diventato il consigliere per la sicurezza nazionale di Biden – aveva condannato l’alleato: “La sentenza per aver semplicemente esercitato i propri diritti universali è ingiusta e preoccupante. Come abbiamo detto, l’amministrazione Biden-Harris si batterà contro le violazioni dei diritti umani, ovunque avvengano”.
E mentre si attende di capire se il rilascio sarà condizionato, un’altra notizia mostra la volontà saudita di ingraziarsi l’alleato americano. Nessun stravolgimento della natura repressiva e autoritaria del regime, ma un po’ di trucco che soddisfi Washington: domenica sono state commutate le condanne a morte di tre giovani sauditi sciiti, arrestati nel 2012 (all’epoca erano minorenni) con l’accusa di terrorismo per aver preso parte a proteste contro il governo della minoranza sciita.
Ali al-Nimr, Dawood al-Marhoon e Abdullah al-Zaher non verranno giustiziati, la loro pena è stata tramutata in dieci anni prigione. Festeggiano le organizzazioni per i diritti umani: “E’ una grande notizia per Ali, che ha passato nove anni nel braccio della morte – ha commentato il gruppo britannico Reprieve, impegnato contro la pena di morte nel mondo – Secondo la sentenza, dovrebbe essere rilasciato quest’anno. Ma ci sono altri giovani come Ali nella stessa situazione per ‘crimini’ commessi da bambini. Il decreto reale deve essere applicato subito a tutti”.
Il riferimento è al decreto emesso dalla monarchia nell’aprile 2020 e che vieta la condanna a morte per i minorenni, prevedendo al suo posto una pena di dieci anni da scontare in un carcere minorile. I numeri restano comunque altissimi: secondo i dati di Reprieve, negli ultimi cinque anni di reggenza del re Salman in Arabia Saudita sono state effettuate almeno 800 condanne a morte, il doppio del suo predecessore re Abdullah. Nena News