Stretta delle autorità su ogni tipo di manifestazione di malcontento anche grazie alla nuova legge antiterrorismo. Decimate le associazioni per i diritti civili
di Giorgia Grifoni
Roma, 18 aprile 2014, Nena News – Partecipare alle manifestazioni, scrivere articoli di denuncia, informare i giornalisti stranieri e firmare petizioni contro il governo: caratteristiche di cittadinanza attiva in gran parte del mondo. Crimini, invece, in Arabia Saudita, dove Fadhel al-Manasef, blogger di 26 anni e processato varie volte dal 2009 per il suo attivismo, è stato condannato a 15 anni di carcere e a pagare una multa di oltre 26 mila dollari.
Secondo le autorità saudite il giovane avrebbe “diffamato il Regno”, scritto “articoli contro la sicurezza dello Stato”, contattato “organi giudiziari e di stampa internazionali senza autorizzazione” e dato ai giornalisti stranieri “un’immagine distorta del Regno”. Oltre a scontare per intero la sua pena, Manasef non potrà viaggiare per i 15 anni successivi alla scarcerazione. Il suo avvocato Walid Sulais ha detto alla Reuters che farà appello chiedendo le prove delle accuse delle presunte “informazioni distorte” fornite ai giornalisti stranieri.
Fadhel al-Manasef è solo l’ultima vittima di una caccia alle streghe che vede le autorità saudite soffocare ogni alito di malcontento per paura che la cosiddetta “Primavera araba” prima o poi sbarchi anche nel Paese. Decine e decine di giornalisti e attivisti sono finiti dietro le sbarre per aver sfidato la repressione che Riyadh nega continuamente di attuare. L’ultimo celebre caso è quello dell’attivista e difensore dei diritti umani Walid Abu al-Khair, arrestato improvvisamente il 15 aprile scorso mentre si difendeva in tribunale dalle accuse mosse contro di lui. Sua moglie Samar Badawi, non vedendo il marito rientrare, è partita per Riyadh il giorno seguente per cercarlo: si è sentita rispondere dalla Corte Penale Specializzata che suo marito si trova nel carcere di al-Ha’ir. E basta.
Prima di lui, Mohamed al-Qahtani e Abdullah al-Hamid, cofondatori dell’Associazione saudita per i Diritti civili e politici (ACPRA) erano stati condannati a 10 e 11 anni per aver “attentato all’ordine pubblico” e “costituito un’organizzazione illegale”; stessa storia per altri membri di ACPRA, come Omar al-Sa’id e Abd al-Karim al Khodr. Abdulaziz al-Ghamdi, attivista indipendente che si era pubblicamente schierato con i detenuti e aveva aiutato le famiglie dei membri dell’ACPRA ad avere giustizia, è finito in prigione. E il fondatore dell’ACPRA Abdulaziz al-Shubaily è attualmente sotto processo. Tutto questo, come nota Human Rights Watch, nonostante l’Arabia Saudita sia “firmataria della Carta Araba per i diritti umani, in cui l’articolo 32 garantisce la libertà di espressione e di opinione”.
Dietro l’aumento degli arresti e delle condanne c’è la nuova legge antiterrorismo approvata lo scorso 16 dicembre dal governo e immediatamente ratificata da re Abdullah: chiunque sia sorpreso a minare “lo stato o la società” potrà essere processato per attività terroristiche. Una legge che, secondo Lori Plotkin Boghardt del Washington Institute for Near East Policy all’Associated Press, darebbe una “copertura tecnica a molte delle misure impiegate dalle autorità” in passato. Attivisti, giornalisti, ma anche donne che chiedono di poter guidare e di poter camminare per la strada da sole possono così finire in carcere per un periodo di tempo indefinito grazie a una legge che viene definita dal ministro saudita della cultura e dell’informazione Abdel Aziz Khoja “una norma in equilibrio tra la prevenzione dei reati e la tutela dei diritti umani secondo l’Islam”. Nena News.
Pingback: A. SAUDITA. Mille frustate in 20 settimane per Raif Badawi