Seconda parte di un breve viaggio nel paese dopo il definitivo ritiro occidentale e il ritorno al potere del Talebani. In tre puntate cercheremo di capire i nuovi equilibri, tra le potenze chi si inseriscono nella crisi, quelle che cambiano paradigma e le forze che rimangono, i studenti coranici ma anche la società civile che resiste
di Valeria Poletti
Roma, 13 ottobre 2021, Nena News – (Per la prima parte clicca qui)
CHI ENTRA
Escono, almeno formalmente, le potenze extra-regionali, entrano le potenze regionali in conflitto tra loro, anche se in provvisorio sodalizio. Ed entrano per condizionare il governo dei Talebani che hanno “ostinatamente” sostenuto. Cina, Russia, Pakistan, Qatar e Turchia negoziano ora con i Talebani una adeguata contropartita e tutti, al momento, hanno interesse a mantenere un ordine che crei un ambiente favorevole tanto ai loro investimenti in infrastrutture e attività estrattive, quanto a tenere lontane dai propri confini le minacce portate dalle fazioni jihadiste e indipendentiste.
Uno degli affari sul tappeto è quello che riguarda il gasdotto TAPI destinato a trasferire il gas turkmeno in India(11) via Afghanistan e Pakistan. Attorno a questo progetto ruotano interessi contrastanti sia riguardo ai corridoi energetici, in particolare tra Cina e Iran, mentre è già in fase acuta il conflitto aperto tra India e Pakistan per le frontiere del Kashmir. Un punto caldo che interseca anche il corridoio di Wakhan, passaggio impervio ma importante per il diretto accesso cinese al Paese e alle sue risorse minerarie.
Il Pakistan, inteso come l’assetto di potere costituito dall’ISI (i servizi segreti) e dall’esercito che non hanno mai smesso di sostenere i Talebani, ha registrato una significativa vittoria(12). Una vittoria che, però, apre la strada al revanscismo delle aree tribali di etnia pashtun e alle azioni terroristiche sul suo territorio. Cina, Russia e Iran non invaderanno l’Afghanistan, ma, oltre a competere tra loro per sfruttare le risorse del Paese, ne faranno un campo di battaglia per la loro competizione strategica con gli Stati Uniti. Il governo turco, sostenuto dal Qatar, può aprire una partita, se non per l’egemonia, certamente per riattivare la catena economica e rivestire un ruolo di sponda per la componente sensibile all’influenza della Fratellanza Musulmana.
Al momento, grandi e medie potenze regionali hanno interesse a stabilizzare il Paese sotto il dominio talebano, ma non mancano le premesse per il rilancio di conflitti interni (in particolare tra le fazioni Jihadiste che hanno devastato l’Afghanistan prima combattendo – con il concreo sostegno americano(13) – i sovietici e, poi, per la conquista del potere) dei quali i “grandi” potranno servirsi per combattere tra loro con il sangue altrui. In attesa che i Paesi europei, che, per ora, restano a negoziare le briciole con il governo talebano, si facciano avanti per partecipare alla spoliazione delle risorse naturali.
Anche se non c’è, al momento, un polo imperialistico capace di sostutuire l’azione trainante e globale degli Stati Uniti, le acque si stanno muovendo in questo scacchiere come in altri, e la costruzione e rottura di alleanze contingenti prefigura una guerra più estesa e duratura per la conquista dell’egemonia.
CHI RESTA
Restano i Talebani. Il movimento che, al suo inizio, faceva riferimento al mullah Omar (morto nel 2013) nasce come del tutto autoctono, e solamente in un secondo tempo ottiene l’avallo dell’Arabia Saudita (in funzione anti-iraniana) e del Pakistan che vedeva nei Talebani una forza in grado di pacificare il Paese confinante devastato dalla guerra civile tra fazioni rivali. Sono gli stessi comunisti-maoisti afgani, peraltro ovviamente antagonisti dell’Emirato Islamico, ad affermare che il movimento, un piccolo raggruppamento all’inizio, si è costituito per combattere i mujaheddin (finanziati e armati dagli Stati Uniti (14) contro il governo in carica sostenuto dall’URSS) (15).
All’epoca del suo insediamento al potere nel 1996, la dirigenza talebana non sembrava aver enunciato un programma politico articolato: l’intendimento del movimento era in primo luogo quello di ristabilire nel Paese una giustizia intesa come regola della convivenza sociale – sottratta, cioè, all’arbitrio delle fazioni in lotta tra loro per l’egemonia – fondata sulla legge islamica. La sharia, comunque, era già stata introdotta quale legge suprema dello Stato dall’Alleanza del Nord nel 1994, non dai Talebani, che l’hanno comunque mantenuta in vigore.
Dopo essere stati rovesciati nel 2001 dall’intervento americano che ha portato al governo, insieme a Karzai, molti dei criminali appartenenti all’Alleanza del Nord, i Talebani lanciarono alcune ondate insurrezionali, le più estese e importanti nel 2009 e nel 2014.
Per molti anni i media occidentali hanno assunto sotto la comune etichetta di Talebani formazioni combattenti contro il governo centrale tra loro differenti e in vario grado accettati dalla popolazione quali gruppi resistenti impegnati in una guerra di liberazione nazionale, uno dei temi centrali sui quali questi gruppi hanno incentrato la propria propaganda. Certamente l’identità religiosa e etnica pashtun rappresentava una base forte per guadagnare consenso soprattutto nelle aree rurali. Bisogna, però, tenere nel dovuto conto il fatto che la drammatica incapacità del governo Karzai(16) di dare risposta alle più elementari esigenze di sostentamento e di servizi sociali per le comunità ha contribuito molto a spostare simpatie verso i fondamentalisti.
L’insorgenza aveva, dunque, una diffusione molto maggiore di quanto riportato dalla nostra informazione. Quanto, poi, la pressione violenta esercitata dai Talebani abbia avuto parte nel costringere i giovani delle province ad arruolarsi nelle formazioni armate islamiste non è dato sapere.
Quello che sappiamo è che questa insorgenza aveva progressivamente attenuato gli accenti più radicalmente jihadisti per avvicinarsi a concezioni nazionaliste, rozzamente antimperialiste e di minore assolutismo ideologico sotto la guida del talebano mullah Omar, capo spirituale riconosciuto dell’”emirato”. Gli “strateghi” americani hanno contribuito, più o meno consapevolmente, a far prevalere la fazione Haqqani, la più ideologicamente intransigente e regressiva, nella lotta per il potere contro Omar.
Come riporta Kamran Bokhari, analista dell’agenzia intelligence privata statunitense Stratfor, «l’obiettivo di Haqqani era quello di legarsi alla componente più forte per portare avanti i propri progetti che trovavano parziale coincidenza con quelli di altri gruppi insorgenti regionali, jihadisti, taliban e narco-criminali. Questa circostanza, secondo alcuni analisti, avrebbe indotto molte delle agenzie di intelligence internazionali a identificare in Haqqani il possibile negoziatore con il Pakistan per [governare] l’Afghanistan abbandonato dall’Occidente [intenzionato a uscire dal pantano afghano, ndr]»(17).
È appunto con questa fazione, vittoriosa dopo la morte del mullah Omar e attualmente al governo, che hanno trattato gli americani. Proprio con la consorteria che vediamo ora esercitare il massimo grado di disumana brutalità contro la popolazione: un ottimo esempio di come Washington promuove i diritti umani.
Le ragioni del successo degli odierni Talebani nel prendere rapidamente il potere al momento del ritiro delle truppe americane non sono, dunque, difficili da spiegare.
Al di là di qualche sommaria inchiesta condotta da organismi internazionali quali Human Right Watch(18) o Asia Foundation(19), che riportano significative percentuali di consenso al movimento talebano (in quanto organizzazione di resistenza anti-americana e anti- governativa, anche se ultra-reazionario) in quegli anni, è quasi impossibile farsi una idea di quanta parte della popolazione lo abbia effettivamente sostenuto. È, però, un fatto che le file dei miliziani hanno registrato considerevoli adesioni, in parte certamente forzate dalla violenza diretta e dalle miserevoli condizioni di vita, ma, come viene ampiamente riconosciuto anche da queste stesse fonti, dovute al rigetto della dilagante corruzione e della delinquenza comune, degli abusi e vessazioni subite per mano degli agenti governativi, delle sentenze considerate ingiuste (perchè contrarie alla legge coranica) emesse dai tribunali statali.
Nonostante la grandissima riduzione del consenso verificata in questi ultimi anni, sono ancora queste le motivazioni addotte da chi ha visto con favore la vittoria dei Talebani. Non meno comprensibile è il fatto che la fine della guerra, dei bombardamenti che hanno provocato un grandissimo numero di morti civili e di invalidi, abbia guadagnato consensi agli artefici della “cacciata degli americani”.
E bisogna considerare che «a metà del 2020, le forze talebane controllavano o esercitavano un’influenza significativa in moltissime province e distretti dell’Afghanistan. In queste aree, i residenti rispettano una serie parallela di leggi governative e regolamenti imposti dai talebani. Alcune organizzazioni non-governative (ONG) – finanziate da donatori internazionali e che lavorano con il governo afghano – forniscono servizi sociali, compresa l’istruzione e l’assistenza sanitaria, nelle aree controllate dai talebani. I leader talebani hanno assunto una certa [funzione di] supervisione su questi servizi e hanno emanato regolamenti relativi alle loro operazioni. I funzionari talebani sono in contatto diretto con le ONG e con i funzionari del governo afgano locale attraverso la mediazione degli anziani delle comunità e dei consigli comunitari»(20). Sono fatti che contribuiscono a spiegare la rapida vittoria talebana.
Tanto più suscita ammirazione quella parte della popolazione, primo tra tutti il coraggioso movimento delle donne, che apertamente sfida l’ordine talebano manifestando la propria opposizione nelle strade.
(Continua domani con la terza e ultima parte)
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Note:
11. Per i talebani, la realizzazione del gasdotto TAPI ha grande rilevanza. TAPI fornirebbe risorse energetiche al Paese e, soprattutto, entrate sotto forma di tasse di transito. Quale sarà la reazione dell’Iran, competitore diretto quanto a trasporto e commercializzazione del gas naturale?
12. «Il Pakistan tende a sostenere i partiti islamici sunniti in Afghanistan, che sono prevalentemente pashtun, come Hezb-e Islami e i talebani di Quetta Shura. Mentre il Pakistan non vuole vedere un forte leader pashtun emergere a Kabul, cosa che potrebbe provocare sentimenti nazionalisti oltre il confine, vorrebbe vedere un Afghanistan flessibile, guidato dai pashtun, che si troverebbe saldamente sotto la sua influenza e accetterebbe la legittimità della linea Durand [il confine tra i due Paesi, ndr]. Tale politica è guidata in parte dalle preoccupazioni regionali riguardo all’India e, in misura minore, all’Iran. India e Iran tendono a sostenere le minoranze non pashtun in Afghanistan, come i tagiki e gli hazara, e il Pakistan teme che se questi gruppi salissero al potere a Kabul, ciò significherebbe l’accerchiamento [del Pakistan] da parte dell’India e dei suoi alleati. Inoltre, l’esercito pakistano ha da tempo ritenuto di aver bisogno di un governo amichevole in Afghanistan che gli offrirebbe la “profondità strategica” in qualsiasi futura guerra con l’India». (Pakistan and Afghanistan)
13. «L’Afghanistan ha vissuto una breve parentesi di avvio alla modernità a seguito della rivoluzione del 1978, una rivoluzione immediatamente paralizzata e soffocata proprio dall’attacco condotto da milizie ultrareazionarie e settarie, ispirate all’Islam politico, anch’esse sostenute, armate e finanziate dagli Stati Uniti (con collaborazione diretta di Israele e dell’ISI pakistana) grazie ad esplicita decisione del Congresso americano autorizzata dal presidente Carter con direttiva del 3 luglio 1979 . Al popolo afgano non è stato permesso di uscire dal medioevo». (Valeria Poletti, Il diavolo e l’acqua santa – 2010 – www.valeriapoletti.com)
14. «Tutti questi gruppi fondamentalisti [confluiti poi nell’Alleanza del Nord per combattere il primo governo dei Talebani del 1996 e, in parte, integrati nel governo Karzai dal 2001, ndr], non erano niente all’inizio. La gente li odiava. Avevano una cattiva fama in Afghanistan e non avevano alcun sostegno tra gli studenti di Kabul, e nemmeno tra le persone nelle aree e nei villaggi locali. I fondamentalisti si chiamavano Akhwan Muslimeen (Fratelli Musulmani), ma la gente li chiamava Akhwan-ul Shayateen (Evil Brothers). (…) Ciò che ha dato a questi fondamentalisti la posizione odierna è stato il sostegno di altri paesi. Gli Stati Uniti sono stati il principale paese che ha sostenuto questi diversi fondamentalisti, compresi i talebani. Durante il periodo dell’occupazione sovietica, sono stati spesi più di 3 miliardi di dollari donati dagli Stati Uniti ai partiti fondamentalisti più brutali. Il Pakistan ha anche addestrato la maggior parte di questi fondamentalisti. E l’Arabia Saudita, l’India, l’Iran, la Turchia, l’Uzbekistan e anche il governo del Giappone, purtroppo, li hanno sostenuti. Questo in nome del sostegno o della difesa del popolo afghano contro la Russia. (…) I fondamentalisti, che erano molto impopolari tra la gente sono diventati improvvisamente proprietari di grandi campi profughi. Sono stati dati loro milioni di dollari e armi. Hanno tutti enormi conti bancari». (Interview with Sahar Saba, a representative of Revolutionary Association of the Women of Afghanistan – 27 febbraio 2003)
15. Interview with Afghanistan Maoist Leader – inverno 2006
16. «Fa parte del background politico di Karzai il fatto che sia stato consigliere per le trattative tra i talebani e la Unocal, una compagnia petrolifera statunitense. Inoltre [Karzai] è stato viceministro degli Esteri dal 1992 al 1996 quando i fondamentalisti erano al potere a Kabul e diversi gruppi armati si battevano per la sete di potere. Più di 50.000 civili sono stati uccisi solo a Kabul durante questi sanguinosi anni. Sebbene cerchi di atteggiarsi a democratico, la gente lo guarda con occhi dubbiosi, criticandolo molto quando cerca di scendere a compromessi con l’Alleanza del Nord». (Interview with Sahar Saba, a representative of Revolutionary Association of the Women of Afghanistan – 27 febbraio 2003)
17. L’insorgenza in Afghanistan, in Centro militare studi strategici ricerca 2010 a cura di Claudio Bertolotti (direttore della ricerca). Questo studio rappresenta una preziosa, precisa e dettagliata, fonte di informazioni sulla natura, la composizione e le strategie dei gruppi di opposizione al governo fantoccio.
18. «La caratteristica principale e distintiva del conflitto armato in Afghanistan negli ultimi due decenni è stato il danno ai civili causato da massicce violazioni dei diritti umani e crimini di guerra da tutte le parti. Questi abusi dilaganti hanno a loro volta alimentato il ciclo del conflitto in molti modi, anche stimolando il reclutamento nell’insurrezione, rendendo quasi impossibile il dialogo politico e minando gli sforzi per promuovere la stabilità attraverso una migliore governance. (…) Ho passato gran parte di questi ultimi 20 anni a parlare con gli afghani delle conseguenze dell’antiterrorismo andato male – le morti e i feriti tra i civili che non sono mai entrati nel conteggio delle vittime dell’attacco aereo del Pentagono; i raid notturni che si sono trasformati in esecuzioni sommarie contro persone che hanno avuto la sfortuna di vivere in un quartiere conteso; la tortura delle persone in custodia che ha distrutto vite e ha motivato la vendetta. Ho anche parlato con molti afghani delle conseguenze impreviste di queste azioni: la rinascita dei talebani favorita dagli abusi e dalla corruzione del governo afghano; le lamentele e la delusione che hanno spinto le persone a perdere la fiducia che l’Afghanistan post-2001 sarebbe stato migliore». (Patricia Gossman, How US funded abuses led failure Afghanistan – 6 luglio 2021)
19. cfr.: Lindsay Maizland, The Taliban in Afghanistan – 15 settembre 2021
20. Non hai diritto di lamentarti – 23 settembre 2021