Estranea al mainstream dei letterati contemporanei turchi, la poetessa curda osserva le lotte e le rivendicazioni del suo popolo vivendole e re-interpretandole attraverso la scrittura spronando chi osserva ed incamera informazioni “da lontano”ad una valutazione dei fatti e alla formazione di un pensiero il più critico possibile
di Cecilia D’Abrosca
Roma, 10 ottobre 2016, Nena News – Ancora una volta la poesia politica parla attraverso la voce di una donna, quella di Bejan Matur. Il suo ultimo lavoro è un reportage poetico in cui l’informazione si unisce alla poesia. Realizzato attraverso interviste a ex-combattenti, il testo spinge alla comprensione e all’apertura al vissuto dell’ “altro”, quale via al riconoscimento di un’identità curda. Di un popolo, di un territorio, di una sovranità da esercitare.
Il Kurdistan combattente ha tra le sue fila anche le donne. Si parla di loro, della loro scelta di vita e della morte che le colpisce precocemente; ma anche dell’azione politica e letteraria di altre donne che, attraverso la scrittura si fanno portatrici della voce curda. Si tratta di esistenze fuori dall’ordinario che spingono a riflettere e abbandonare ogni facile catalogazione. Sentirsi curdi e difendere la propria appartenenza etnica equivale alla scelta di difendere una civiltà oppressa e minacciata, alla quale è negata ogni forma di esistenza. Quella dei curdi è una guerra “simbolica”, che raccoglie volontari e volontarie da ogni parte d’Europa e del Medio Oriente, poiché la questione curda sembra, a partire dagli accadimenti di quest’anno in particolare, sfociata in un ideale da rappresentare e sostenere, diffondere e alimentare. Con la lotta e la morte.
Tra le donne impegnata nella difesa e rivendicazione dell’”essere curdi” vi è Bejan Matur. Nasce in una famiglia di curdi Alevi (branca dell’Islam i cui adepti sono i seguaci di Alì), nella Turchia orientale (Kurdistan turco), studia giurisprudenza ma decide di dedicarsi alla letteratura e alla poesia. È oggi scrittrice, giornalista, poetessa. Ritenuta la figura femminile più nota della letteratura e della poesia in Turchia, estranea al mainstream dei letterati contemporanei. Conosce la storia del popolo curdo, del suo popolo, perchè ha sempre vissuto con loro osservandone le lotte e le rivendicazioni, vivendole e re-interpretandole attraverso il genere della poesia e della prosa. Dopo aver analizzato le forme della resistenza, le ricostruisce attraverso un racconto fatto di immagini o attraverso la poesia celebrativa; spronando chi osserva ed incamera informazioni “da lontano”, ad una valutazione dei fatti e alla formazione di un pensiero il più possibile critico. La lingua della sua scrittura è il turco, anche se continua a parlare la lingua curda con sua madre e la sua gente.
Fino ad oggi ha pubblicato 7 raccolte di poesie, pluripremiate e tradotte in diverse lingue: inglese, francese, tedesco, e italiano (solo l’ultima raccolta). I testi delle sue poesie spiegano il significato del “sentirsi curdi” col ricorso ad un linguaggio letterario e a un immaginario di riferimento che rende la scrittrice inconfondibile agli occhi dei lettori.
La sua prima pubblicazione, Living of Abraham, 1996, è considerata una delle sue opere più significative. Il linguaggio evocativo e mistico dell’opera si ispira alla mitologia di centinaia di anni fa, basata sulla tradizione Sufi. Un altro lavoro importante è il libro fotografico, The Gate of East: Diyarbakir, che descrive la città assunta come patria ancestrale di curdi e armeni, Diyarbakir, spiegata attraverso il ricorso al mito e alle sue funzioni. Bejan scrive la storia della città, che ha circa 3000 anni, attraverso un testo poetico e delle fotografie che ripercorrono il periodo che va dall’antichità fino ad oggi. Il lavoro è considerato tra le fonti storiche e di studio più preziose sull’Anatolia. A partire dalla sua prima pubblicazione, è stata considerata dal mondo della poesia contemporanea turca, “una boccata di aria fresca”, per via del linguaggio particolareggiato e distintivo e per i contenuti, fuori dalla trattazione ordinaria.
Il suo ultimo lavoro (di cui si fa riferimento ad inizio del testo), è Looking Behind The Mountains, tradotto in italiano,“Guardare Oltre Le Montagne” (Poiesis Editore, pp. 272), un reportage-racconto intriso di poesia. Si basa su un numero di interviste realizzate ad ex-combattenti, che da adolescenti hanno deciso di spostarsi sulle montagne per combattere i loro coetanei turchi per difendere il loro “essere curdi”, entrando nel Pkk o nelle formazioni curde dell’Iraq. Gli incontri con la scrittrice hanno luogo quando, da adulti, alcuni di loro, fuggiti nel frattempo in Europa o dopo aver scontato anni di carcere, mostrano, dal racconto delle loro storie di vita, che il dialogo e la pace possono essere aspirazioni condivise ma che presuppongono, alla base, una comprensione e un’apertura piuttosto che restrizioni alle libertà personali e individuali.
L’intento narrativo dell’autrice è di mettere in evidenza il profilo umano, ponendo il lettore al cospetto di un’esperienza di vita a posteriori e consapevole, tale da far comprendere che, parlare o cantare in lingua curda non può essere motivo di discriminazione né legittimazione all’arresto. Sebbene i curdi siano una minoranza avente una lingua e una cultura (come ogni gruppo sociale ed etnico), private di ogni ufficialità e valore, Bean vuole rendere noto il loro mondo culturale, schiacciato e semi nascosto.
Durante le interviste, ad essere affrontato è anche il tema della morte, la cui paura è superata dalla necessità di combattere. Bean Matur commenta il suo ultimo lavoro usando queste parole: ”Voglio che tutti quelli che leggono queste storie, vedano che una forza è nata dallo sguardo della coscienza e della comprensione, non da quello della paura, degli stereotipi e delle frasi fatte, e voglio che vedano che è questa forza a tenerci uniti.”
La poetica di Bejan Mater è quella di una autrice che usa una voce quasi “infantile”, e altre volte, una voce antica e inquietante, capace di dare fastidio. La sua è una scrittura “dissidente” che disegna un universo di significati derivanti da mitologie e fonti tribali sconosciute. Il suo scopo è descrivere quelle famiglie disgregate e sfollate che si muovono sullo sfondo, riprendendo le sue parole, di “un paesaggio battuto dal vento e da una pioggia fredda di decadimento e morte, oscurità e dura desolazione.” Questo è il ritmo della sua poesia. Questa è l’immagine che Bejan vuole dare dei curdi.
La poetessa intende distruggere tutto ciò che appare “sciocco e fuori luogo” dell’immagine dei curdi, non colpendo direttamente, attraverso le parole, ma modellandone il senso e offrendo una interpretazione più vicina alla realtà. Lo fa attraverso frammenti di parole, che ad una prima lettura appaiono de-contestualizzate, ma attraverso la sua abilità di scrittura emerge il significato intenzionale dell’autore. Il lettore non è guidato nella lettura, parola per parola, ma a mano a mano è spinto a toccare e riconoscere, pezzo dopo pezzo (di significato), al buio, perché Bejan non smette di voler inseguire e rappresentare l’idea di un qualcosa di cupo, dell’assenza di luce che accompagna il popolo curdo.
Oltre ad essere scrittrice e poetessa, è anche giornalista. Scrive di cultura e arte, sia curda che armena. Compie analisi politiche sulla situazione del Kurdistan turco e s’interessa alla questioni di genere e ai bambini, inoltre, è direttrice della fondazione culturale Diyarbakir Cultural Art Foundation. Nena News