Domenica sera due uomini armati hanno sparato alla testa all’attivista e giornalista siriano Ahmad Abdel Qader del collettivo anti-Is “Occhio alla patria” ferendolo gravemente. Un’autobomba è esplosa ieri nell’est del Paese uccidendo 9 persone. Ankara accusa: “E’ stato il Pkk”
della redazione
Roma, 14 giugno 2016, Nena News – L’autoproclamato Stato Islamico (Is) è tornato in azione in Turchia. A cadere vittima della sua violenza è stato ancora una volta un attivista e giornalista siriano. I fatti risalgono a domenica sera quando il 33enne Ahmad ‘Abdel Qader del collettivo “Eye on the Homeland” nella città di Sanliurfa (nel sud della Turchia) è stato colpito diverse volte da diversi colpi di arma da fuoco sparati da due uomini in sella ad una motocicletta. Il giovane, che si trovava nella sua macchina quando è stato raggiunto dai proiettili, è stato gravemente ferito. Operato d’urgenza, al momento si troverebbe in condizioni stabili. Non è chiaro se sia o meno in pericolo di vita. L’attacco è stato rivendicato prontamente dall’Is sulla sua Agenzia di stampa ‘Amaq.
L’attentato subito da ‘Abdel Qader è solo l’ultimo di una lunga serie di incidenti che ha preso di mira attivisti siriani anti-Is in Turchia. Ibrahim, il fratello di Ahmad ed ex direttore esecutivo di Eye on Homeland, è stato ritrovato decapitato insieme all’attivista Fares Hamadi in una casa di Sanliurfa lo scorso ottobre. Anche in quel caso gli uomini di al-Baghdadi assunsero la paternità delle uccisioni. Ad aprile il giornalista siriano Mohammed Zaher al-Shurqat è stato ucciso a Gaziantep in un altro assassinio rivendicato dai jihadisti del “califfato”.
Suscitò indignazione l’omicidio dell’attivista siriano e produttore di documentari anti-Is, Naji Jerf, che fu colpito mortalmente da colpi di arma da fuoco lo scorso dicembre. Di fronte a questi ripetuti crimini le autorità turche hanno mano fin troppo leggera. Se è vero, infatti, che Ankara ha arrestato e talvolta ucciso in blitz affiliati dell’Is, tuttavia lo “Stato Islamico” continua ad avere una discreta libertà d’azione in Turchia (soprattutto lungo il confine siro-turco che, in parte, ancora controlla). Il caso Abdel Qader va pertanto inquadrato all’interno di questa più ampia cornice.
L’ennesimo atto di intimidazione contro gli attivisti siriani anti-Is riporta al centro del dibattito le falle delle sicurezza turca quando a commettere gli attentati sono gli uomini del “califfo” e, soprattutto, il doppio standard adottato da Ankara in politica interna: pugno duro contro i curdi – anche a livello istituzionale, si pensi al recente annullamento dell’immunità parlamentare che andrà a colpire principalmente i parlamentari del partito filo curdo Hdp - ma una risposta debole quando ad operare sono i radicalisti islamici.
Il doppio standard turco è riapparso con tutta evidenza ieri quando una offensiva delle forze armate di Ankara nella provincia orientale di Van ha portato all’uccisione di tre combattenti del partito curdo dei lavoratori (PKk) considerato una formazione terrorista da Ankara, Washington e Bruxelles. La guerra tra il Pkk e il governo centrale riniziata lo scorso luglio (dopo due anni di un finto processo di pace) ha causato finora la morte di almeno 500 persone dell’apparato di sicurezza turco (soldati, poliziotti e guardie dei villaggi). Secondo fonti locali, invece, sarebbero più di 5.000 le vittime tra le file del Pkk.
Un bilancio del tutto provvisorio. Ieri, infatti, una macchina imbottita di esplosivo è saltata in aria vicino al tribunale di Ovacik (circa 800 km a est di Ankara) causando la morte di almeno nove persone. Secondo quanto riferiscono le autorità turche, un attentatore suicida del Pkk si sarebbe fatto saltare in aria. Al momento né il partito di Ocalan, né i Falchi della Libertà del Kurdistan (Tak) hanno rivendicato l’attacco. Nena News