Ahmed al-Rub, di 16 anni, è stato ucciso poco fa al check point di al-Jalama. Sabato scorso un altro palestinese, Mahmoud Talal Mahmoud Nazzal, di 18 anni, è stato colpito a morte allo stesso posto di blocco dopo un presunto attacco a una guardia di sicurezza. Israele restituisce cinque corpi ai familiari a Hebron, ma pretende che i funerali si svolgano “in silenzio e di notte”
della redazione
Roma, 2 novembre 2015, Nena News - Un adolescente palestinese, Ahmed al-Rub, di 16 anni, è stato colpito e ucciso poco fa al check point di al-Jalama, a nord di Jenin quasi sulla Linea Verde, dopo che – stando a quello che riporta l’esercito israeliano – aver tentato di accoltellare un soldato. Sempre secondo fonti militari, un secondo sospetto sarebbe stato arrestato. Secondo il quotidiano Jerusalem Post, i soldati si sarebbero avvicinati a due palestinesi “dall’atteggiamento sospetto”: uno dei due avrebbe quindi tirato fuori un coltello, e sarebbe stato colpito a morte dopo “aver ignorato i ripetuti richiami a lasciar cadere l’arma”.
Il portale MaanNews riferisce che sabato scorso un altro palestinese, Mahmoud Talal Mahmoud Nazzal, di 18 anni, è stato ucciso al check point di al-Jalama dopo un presunto attacco a una guardia di sicurezza. E’ salito così a 72 il bilancio dei palestinesi uccisi dall’esercito israeliano, dai coloni e dagli agenti della sicurezza privata a partire dal 1 ottobre scorso, giorno a cui ci si riferisce come all’inizio dell’ennesima sollevazione palestinese, già definita dalla stampa “Terza Intifada” o “Intifada dei coltelli”. Nello stesso periodo, sono stati uccisi 9 israeliani per mano palestinese.
Un’esplosione di violenza da parte palestinese che ha assistito a una risposta dell’esercito israeliano definita “sproporzionata” dalle organizzazioni per i diritti umani, con giovani quasi quotidianamente uccisi o feriti anche quando non rappresentavano un pericolo imminente. E’ il caso, ad esempio, di Israa Abed, colpita il 9 ottobre scorso dalle pallottole della polizia nella stazione degli autobus di Afula, città a nord di Israele: secondo la polizia, aveva in mano un coltello e aveva intenzione di compiere un’aggressione, ma una serie di video girati dai presenti la mostrano in piedi circondata da poliziotti, con le mani alzate, prima di venir colpita più volte. O quello di Islam Ibeido, 23 anni, avvenuta a Tel Rumeida, nel cuore di Hebron, ucciso la settimana scorsa da una raffica di colpi sparati dall’esercito israeliano dopo che, secondo le testimonianze di internazionali e attivisti locali, aveva le mani alzate.
Se per contenere la sollevazione palestinese le autorità israeliane, tra le misure stabilite, avevano deciso di non restituire i corpi dei giovani assassinati alle loro famiglie – con il pretesto di “non voler dar avvio a nuove proteste durante i funerali” – ora stanno rivedendo la decisione: il portale Ynet riferisce che cinque corpi sono stati restituiti nel week end alle loro famiglie di Hebron. Complice dell’autorizzazione concessa dal ministro israeliano della Difesa Moshe Ya’alon, la protesta che ha avuto luogo nel centro meridionale della Cisgiordania mercoledì scorso, quando alcuni leader della città avrebbero negoziato con i funzionari della sicurezza israeliana il ritorno delle salme che, se trattenute da Tel Aviv, avrebbero potuto innescare una nuova ondata di proteste.
Ora Israele pretende che i funerali si svolgano di notte e che, come riporta Ynet, non diventino “uno spettacolo pubblico”. Ya’alon ha dichiarato ieri mattina che i corpi verranno restituiti se i funerali saranno “silenziosi e non ostentatori”. Ma i palestinesi non ci stanno: “Non sotterreremo i nostri figli come se fossero ladri, di notte, di nascosto”. Nena News