Continuano i negoziati a Vienna tra Tehran e le potenze del 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania). Il ministro degli esteri russi Lavrov: “Il problema principale è l’embargo sulle armi”
AGGIORNAMENTO ORE 17:30 Negoziati sul nucleare estesi fino a venerdì
Le negoziazioni nucleari tra Iran e le potenze del 5+1 continuneranno finché non sarà raggiunto un accordo finale. A dirlo è il ministro degli esteri dell’Unione Europea (Ue), Federica Mogherini. “Continueremo a negoziare nei prossimi giorni. Questo non vuol dire che stiamo estendendo la data limite. Prendiamo del tempo, dei giorni necessari per raggiungere l’intesa” ha detto l’alto rappresentante dell’Ue.
“Abbiamo fatto sostanziali progressi, ma questo lavoro è altamente tecnico e la posta in palio è alta per tutti i Paesi coinvolti” ha invece dichiarato Marie Harf, la portavoce della delegazione statunitense. “Francamente – ha aggiunto Harf – siamo più interessati alla qualità dell’accordo che [a questioni] di orologio, sebbene siamo consci che le decisioni difficili non diventeranno più semplici con il tempo. Ecco perchè stiamo continuando a negoziare”.
Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha detto ad Interfax che il”problema principale” che sta ostacolando le trattative tra Tehran e le potenze mondiali è “l’embargo sulle armi” che Tehran vorrebbe che fosse tolto.
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della redazione
Roma, 7 luglio 2015, Nena News – L’accordo sul nucleare iraniano difficilmente si troverà oggi, data limite fissata per raggiungere l’intesa. E’ quanto è emerso ieri a Vienna dopo una lunga giornata di incontri protrattisi fino a tarda notte tre Teheran e la maggiori potenze mondiali. A confermare la possibile estensione dei negoziati sono stati i principali protagonisti presenti. Alla domanda se un altro slittamento delle trattative è possibile, il portavoce della Casa Bianca Johan Kirby ha detto che “è sicuramente probabile”. Parole confermate anche da un ufficiale iraniano che, tuttavia, ha provato a sminuire lo stallo diplomatico in corso: “Il 7 luglio, l’8 luglio, non le consideriamo le date in cui dobbiamo finire il nostro lavoro”. “Anche se superiamo il 9 luglio – ha aggiunto il funzionario di Teheran – non sarà la fine del mondo. [L’intesa] ci sarà in un altro periodo”.
Insomma, niente di nuovo all’orizzonte: in 13 anni di estenuanti vertici, incontri, trattative sul nucleare di Teheran, la repubblica islamica e le potenze del 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) sono ancora lontane a trovare un accordo E se le divergenze continuano – ma non c’è alcuna intenzione di rinunciare a trovare un compromesso – non resta che procrastinare ad una nuova “dead line” la soluzione finale. Un accordo ad interim, ad esempio, era stato raggiunto già nel novembre del 2013 quando in Iran era stato eletto da poco alla presidenza il moderato Hassan Rouhani. Tuttavia, a luglio del 2014 le speranze di una risoluzione della questione nucleare erano state tradite perché le parti non furono in grado di trovare una intesa definitiva. Lo stesso dicasi per lo scorso novembre. Ad aprile, dopo giorni di intense trattative, i negoziatori avevano stabilito al 30 giugno la data limite entro cui arrivare ad una firma.
La notizia era stata celebrata in Occidente come una vittoria dell’amministrazione Usa guidata da Obama, si parlò di “accordo storico” per il quale si dovevano definire solo dei “dettagli”. Non da tutti, per la verità, la (presunta) intesa fu accolta con favore: Israele e il blocco sunnita (guidato dall’Arabia saudita) non nascosero la forte preoccupazione per l’avvicinamento tra potenze occidentali e la repubblica sciita. Non passa giorno in cui Tel Aviv non lancia allarmi e moniti sul “pericolo” insito nello sdoganare gli iraniani in campo internazionale. Eppure, nonostante i fiumi di inchiostro versati per celebrare l’intesa (che non c’era), pochi si erano accorti in realtà che differenze sostanziali tra le parti restavano su aspetti fondamentali della questione. E se divergenze rimanevano, era inevitabile un nuovo rinvio. Così dal 30 giugno si è passati al 7 luglio. Ieri notte al decimo giorno di negoziati e con il termine temporale ormai imminente, i negoziati tra il segretario di Stato Usa John Kerry, la sua controparte iraniana rappresentata dal ministro degli esteri iraniano Mohammed Javad Zarif e i rappresentanti del 5+1 sembrano aver prodotto l’ennesimo buco nell’acqua.
“Non ci siamo ancora – ha detto una fonte all’interno della delegazione tedesca – non dovremmo sottovalutare le questioni rimaste irrisolte. Non ci sarà un accordo ad ogni costo, se non c’è un avanzamento nei punti decisivi, un fallimento non è da escludere”.
Che a regnare sui negoziati di Vienna sia lo spettro di un nuovo fallimento appare evidente dalle dichiarazioni del portavoce statunitense Kirby: “una intesa potrebbe essere trovata velocemente o fra pochi giorni, ma potrebbe anche non esserci”. Teheran sostiene di aver fatto “diverse concessioni” ma che su alcune questioni ci sono ancora troppe distanze con gli occidentali.
In effetti i punti spinosi sono ancora lontani dall’essere risolti: ispezioni in tutti i siti del Paese (sia nucleari che militari); congelamento graduale delle sanzioni solo dopo il comprovato rispetto da parte della Repubblica islamica dei termini dell’accordo; un’intesa della durata di 10 anni, non meno come pretende Teheran la quale vedrebbe così la propria energia nucleare bloccata per un decennio.
Domenica il segretario di Stato Kerry aveva manifestato il malcontento dell’amministrazione Obama per lo stallo in corso. Secondo lui c’è bisogno di operare delle “scelte difficili per siglare l’accordo” e che gli Stati Uniti sono “pronti ad abbandonare le trattative se non si dovesse raggiungere un buon accordo”. Una prospettiva che Washington vorrebbe evitare perché desiderosa di incassare il suo unico “successo” in Medio Oriente dopo i risultati deludenti ottenuti finora nell’area da Obama. Kerry è sotto pressione: non solo vuole concludere la trattativa nucleare definitivamente, ma mira a farlo entro giovedì così da mandare la bozza al congresso Usa (dove prevalgono, però, i repubblicani) e ottenere entro 30 giorni l’approvazione per firmare l’intesa definitiva. In base ad una legge passata recentemente, infatti, se l’accordo è raggiunto dopo il 9 luglio i parlamentari statunitensi avranno 60 giorni per votarlo. Ma più tempo a disposizione per gli oppositori di Obama potrebbe voler dire maggiori possibilità che il “successo” dell’amministrazione democratica non passi al Congresso vanificando così gli sforzi per raggiungere una intesa con Teheran.
Intesa che avrebbe delle conseguenze importanti e immediate che vanno ben al di là della mera questione nucleare: con una accordo verrebbero normalizzate le relazioni diplomatiche tra Usa e Iran dopo 35 anni di accesa ostilità. Senza dimenticare, poi, le ripercussioni geopolitiche che uno sdoganamento di Teheran sulla scena diplomatica internazionale provocherebbe in Medio Oriente. Soprattutto tra i fidati alleati degli Usa: Israele e Arabia Saudita . Nena News
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