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Rinviati a giudizio il direttore del quotidiano al-Akhbar e il vicedirettore del network al-Jadeed per aver rivelato i nomi di presunti testimoni del processo agli assassini di Rafiq Hariri. Gli imputati accusano: “Vogliono zittirci”

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di Giorgia Grifoni

Roma, 1 maggio 2014, Nena News – Giornalisti perseguitati “legalmente” per aver fatto il proprio lavoro e denunciato le azioni di una delle più controverse istituzioni giuridiche esistenti al mondo. Accade in Libano, dove il Tribunale Speciale incaricato di indagare e giudicare gli assassini dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, ucciso a Beirut da un’autobomba il 14 febbraio 2005 assieme ad altre 21 persone, ha rinviato a giudizio i direttori del quotidiano al-Akhbar e del network televisivo panarabo al-Jadeed con l’accusa di oltraggio e ostruzione delle indagini. Se le accuse saranno confermate, rischiano fino a 7 anni di reclusione e una multa di 100 mila euro.

Contro Ibrahim al-Amin, direttore di al-Akhbar e Karma al-Khayat, vicedirettore di al-Jadeed ci sarebbero “indizi sufficienti per procedere”, come si legge in un comunicato diffuso una settimana fa dalla corte internazionale con sede all’Aja, per la “pubblicazione dei nomi che si affermano essere quelle di presunti testimoni riservati nel processo del Tribunale”. Galeotta fu la lista dei 32 “supertestimoni” che al-Akhbar decise di pubblicare nel gennaio 2013, svelando “volutamente l’identità dei presunti testimoni riservati e interferendo volontariamente con le indagini in corso”. Insomma, apparentemente un semplice caso di pubblicazione di nomi e atti in fase di indagini. Ma niente, in Libano, è semplice.

Accusato da più parti di essere un’istituzione corrotta, il Tribunale Speciale per il Libano (TSL) è stato incaricato nel 2007 dall’Onu di far luce sull’assassinio di Rafiq Hariri e nel 2009 ha ordinato la scarcerazione dei quattro agenti dei servizi segreti libanesi individuati in un primo momento come responsabili dell’attentato e imprigionati nel 2005. I quattro erano stati arrestati dopo che Mohammad al-Saddiq, ex ufficiale dei servizi segreti siriani, aveva rivelato in una serie di incontri con gli inquirenti la pianificazione dell’attentato da parte dei dirigenti siriani. Poi improvvisamente una fuga di notizie aveva portato il giornale tedesco Der Spiegel a pubblicare la notizia-bomba che il Tribunale Speciale stesse indagando su quattro membri di Hezbollah grazie a una serie di presunti testimoni saltati fuori dal nulla. L’opposizione accusava il governo, allora guidato dal figlio di Hariri, Saad, di voler eliminare politicamente Hezbollah. Nel 2010, inoltre, proprio al-Jadeed aveva mandato in onda un servizio sull’incontro segreto tra Saad Hariri e Mohammad al-Saddiq, incontro su cui il TSL non si è mai curato di investigare. Come non si è curato di indagare sulla questione dei “falsi testimoni”, più volte chiesto dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. E gli unici due media che hanno osato contestare le azioni “poco chiare” del Tribunale sono ora sotto processo.

“Tutta la vicenda contro al-Akhbar e al-Jadeed sembra una vendetta personale del TSL”. G.T., giornalista libanese, collaboratore di numerose testate locali e internazionali, non ha dubbi. “In passato – spiega – al Tribunale ha fatto comodo la fuga di notizie data a Der Spiegel e alla rete canadese CBC News, ma quando la fuga di notizie di al-Akhbar e al-Jadeed ha esposto tutta la fabbricazione delle accuse a carico di Hezbollah, ha esposto soprattutto la totale corruzione che regna all’interno dell’istituzione”. Parole dure che, a quanto pare, sono condivise da una gran fetta della popolazione libanese. “La persecuzione di questi due giornalisti – continua – sembra soprattutto un ultimo disperato tentativo, da parte del Tribunale, di riacquistare una credibilità perduta da tempo. A nessuno, in Libano, importa di quello che dice il TSL. Non ci credono nemmeno più i sostenitori di Hariri. Questo tribunale costa al Libano 20 milioni di dollari l’anno, e la gente si chiede perché, visto che l’intera investigazione serve solamente alla famiglia Hariri, non la paghino loro, dal momento che navigano nell’oro”.

G.T. si chiede anche perché, data la solerzia del TSL di punire la fuga di notizie fatta dai due portali incriminati, il Tribunale non abbia incriminato anche Nick Blanford, giornalista del Times, che un paio d’anni fa ha pubblicato una sua presunta intervista a uno dei quattro membri di Hezbollah indagati per l’omicidio Hariri. “In seguito – continua il reporter -si è scoperto che questo giornalista aveva fabbricato tutta l’intervista e non era nemmeno qui a parlare con il fantomatico indagato, ma uno stupido fixer si era inventato tutto.  Quando la vicenda è venuta a galla, l’unica cosa che il Times ha fatto è stato eliminare l’articolo. Non si sono neanche scusati per aver fabbricato l’intervista, un’azione che ha delle conseguenze enormi qui in Libano per via delle tensioni tra sciiti e sunniti. E, ovviamente, il TSL non ha detto una parola sulla questione”.

Due pesi due misure? A quanto pare sì. Al-Akhbar e al-Jadeed parlano di libertà di stampa e di diritto di cronaca, accusano il TSL di volerli zittire e di voler censurare il giornalismo d’inchiesta libanese. E annunciano battaglia, forti di un’enorme campagna di solidarietà che si è formata attorno alla vicenda. Dovranno comparire davanti al Tribunale il 13 maggio, ma G.T. è sicuro che il TSL non possa perseguirli: “E’ una corte internazionale, non hanno alcun diritto di farlo”. Se ciò accadesse, un tribunale internazionale che rinvia a giudizio due giornalisti accusati di reati di stampa, sarebbe un precedente clamoroso nella storia della giustizia. Ma il TSL non è nuovo a primati: è l’unico tribunale internazionale incaricato di perseguire un omicidio politico e non un crimine di guerra. Ma d’altronde, per un Paese che si appresta a eleggere alla presidenza della Repubblica Samir Geagea – noto criminale di  guerra, condannato  alla fine del conflitto civile per l’omicidio di un ministro, Rashid Karameh e scarcerato subito dopo l’assassinio di Hariri per una clamorosa amnistia – niente è poi così assurdo. Nena News.

 

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