Respinto al mittente l’appello di Germania, Francia, Italia, Spagna e Gran Bretagna a fermare la distruzione delle case degli attentatori palestinesi. Per Tel Aviv sono un deterrente per i “terroristi”, ma stanno infiammando un clima già molto teso. Oggi scontri in Cisgiordania e a Gerusalemme
della redazione
Roma, 21 novembre 2014, Nena News – È un altro venerdì di proteste in Cisgiordania e a Gerusalemme. Il ‘giorno della rabbia’ proclamato da Hamas per sostenere quella che qualcuno ha già chiamano “l’intifada di Gerusalemme”. E mentre la mattina è stata segnata da proteste e scontri nei Territori occupati -a Hebron, a Ramallah, a Qalanidya, nei quartieri arabi della Città Santa-, il governo israeliano ha respinto l’appello di Germania, Francia, Italia, Spagna e Gran Bretagna a fermare le demolizioni delle case degli attentatori (o dei loro familiari) della sinagoga e di altri due palestinesi che hanno commesso altri attacchi contro israeliani.
Le ruspe non si fermano, secondo una prassi consolidata in Israele. Alla richiesta dei governi europei di fermare le demolizioni, poiché esacerbano gli animi e gettano benzina sul fuoco in un momento di altissima tensione a Gerusalemme e nei Territori occupati, Tel Aviv ha risposto che si tratta di una misura in linea con la legge e serve a dissuadere altri dal compiere attentati. Così ieri quattro famiglie si sono viste recapitare l’avviso di imminente distruzione della propria abitazione.
Le demolizioni non si sono mai fermate, ma è stato durante la Seconda Intifada, tra il 2000 e il 2005, che questa misura è stata adottata in maniera massiccia, per poi essere accantonata poiché giudicata controproducente dallo stesso Israele.
L’attacco alla Striscia di Gaza, la costante espansione degli insediamenti, le “visite” degli ultraortodossi ebrei alla Spianata delle Moschee hanno alimentato un clima, l’ennesimo fallimento dei negoziati di pace hanno portato la tensione alle stelle e lo Stato ebraico ha risposto con il pugno di ferro agli attentati di palestinesi delle ultime settimane. Raffiche di arresti (380 persone in tre settimane) e demolizioni a tutto spiano.
Una punizione collettiva per gli ultimi attacchi contro israeliani nella Città Santa, a cui si aggiungono le demolizioni di case che aumenteranno, ha avvertito il premier israeliano Benjamin Netanyahu: «Ci saranno altre demolizioni. Siamo determinati a riportare la sicurezza a Gerusalemme…Non tollereremo attacchi ai nostri cittadini».
Secondo i dati raccolti delle Nazioni Unite, nel 2014 Israele ha demolito almeno 543 case e edifici palestinesi in Cisgiordania. Almeno 27.000 costruzioni palestinesi sono state distrutte dal 1967.
Una linea criticata anche dall’alleato Washington che, però, pare non abbia avanzato richieste a Tel Aviv. D’altronde, la risposta del governo di Benjamin Netanyahu sarebbe stata la stessa data ai cinque Paesi dell’Unione europea, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Emmanuel Nahshon. Nena News