INTERVISTA. L’analista, uno dei più noti del mondo arabo, pone anche un punto interrogativo sul presunto attacco con armi chimiche nella Ghouta, il pretesto che Donald Trump sta usando per lanciare un attacco contro la Siria
di Michele Giorgio
Roma, 12 aprile 2018, Nena News - Spinto dai falchi nella sua Amministrazione, Donald Trump questa volta non vuole soltanto dare una “lezione” a Damasco, come un anno fa. L’obiettivo della campagna militare che sta preparando è quello di capovolgere in Siria il quadro militare favorevole al presidente siriano Bashar Assad e ai suoi alleati iraniani in modo che i jihadisti sponsorizzati dai suoi alleati tornino all’offensiva.
La nuova guerra è a un passo. I comandi militari israeliani ieri hanno fatto sapere che se l’Iran attuerà dalla Siria una rappresaglia per i suoi consiglieri militari uccisi dall’attacco aereo dell’altro giorno alla base siriana T4, «il presidente Bashar Assad e il suo regime saranno quelli che pagheranno il prezzo». Il premier Netanyahu ieri ha riunito il gabinetto di sicurezza in vista dell’attacco Usa. Putin gli ha chiesto con forza di non intervenire in Siria ma Israele si tiene le mani libere.
Intanto il potente rampollo reale saudita Mohammed bin Salman continua il suo tour internazionale tra Stati Uniti ed Europa dispensando accordi di cooperazione e acquisti di armi per decine di miliardi di dollari. Dopo gli Usa, la tappa più importante è stata a Parigi. Al termine dei colloqui il presidente Macron ha detto che la Francia è d’accordo con l’Arabia Saudita sulla necessità di frenare l’«espansionismo iraniano» in Medio Oriente. Da parte sua Bin Salman ha avvertito che continuerà ad «essere estremamente vigile su questo punto…non tollereremo alcuna attività balistica che minaccia l’Arabia Saudita». Per Parigi, come per Washington, Riyadh e Tel Aviv fermare «l’espansionismo iraniano» significa intervenire prima di tutto in Siria. Nessuno invece muove un passo per fermare l’offensiva saudita in Yemen, dove i civili muoiono come in Siria. L’Occidente si accontenta delle pelose rassicurazioni di Bin Salman: «Evitiamo di attaccare direttamente la capitale Sanaa proprio per salvaguardare i civili».
Sullo sfondo c’è Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, l’emiro del Qatar, avversario di Bin Salman ma stretto alleato di Washington. Anche lui ha dato il via libera a Trump. «La regione non può tollerare una guerra criminale come quella del presidente siriano Assad» ha detto dopo aver incontrato il tycoon alla Casa Bianca. Sulla nuova guerra innescata dal presunto “attacco chimico” che Usa e alleati attribuiscono a Bashar Assad abbiamo intervistato l’analista arabo Uraib al Rantawi.
Due giorni fa, in un articolo apparso su al Dustour, lei ha sollevato forti dubbi sull’uso delle armi chimiche da parte di Damasco.
Ho fatto semplicemente ricorso alla logica. Le forze armate siriane il 18 febbraio hanno circondato la Ghouta Est e, settimana dopo settimana, hanno conquistato terreno mettendo nell’angolo le varie milizie armate in quella zona a ridosso di Damasco: Ahrar ash Sham, Nusra e Faylaq ar Rahman. Fazioni sostenute da Turchia e Qatar che poi hanno lasciato la Ghouta accettando di andare a Idlib grazie ad un accordo mediato dalla Russia e su pressione di Ankara che in cambio ha ottenuto campo libero con i curdi ad Afrin. Si stava arrivando, anche se con difficoltà, ad un accordo anche con un’altra fazione armata nella Ghouta, Jaysh al Islam, che fa capo all’Arabia saudita, quando è giunto l’annuncio di Donald Trump che gli Usa avrebbero ritirato le loro forze dalla Siria. Si è capovolto tutto. Mohammed bin Salman ha criticato la decisione Usa, Jaysh al Islam dopo un primo sì ha poi rifiutato di uscire dalla Ghouta tra gravi dissidi interni e poche ore è avvenuto questo presunto attacco chimico. Mi sono domandato: sono soltanto coincidenze? Perché mai Bashar Assad avrebbe dovuto usare il gas? Ormai aveva vinto la battaglia della Ghouta, anche Jaysh al Islam avrebbe lasciato quell’area, non aveva bisogno di usare armi proibite e di scatenare la reazione del mondo contro la Siria. È contro ogni logica. E poi è entrato in scena anche Israele che ha colpito in Siria una base aerea molto importante e obiettivi iraniani proprio nel pieno di questa crisi.
Crede ad un piano organizzato per spingere gli Usa ad attaccare la Siria?
Non sto suggerendo nulla o sostenendo una tesi precisa. Facciamo lavorare una commissione d’indagine seria e indipendente e proviamo a capire se, quando e come è o sarebbe avvenuto questo attacco chimico e chi l’ha compiuto.
Cosa si aspetta adesso
Purtroppo Washington attaccherà la Siria assieme a Francia e Gran Bretagna. Non è escluso che si aggiungano altri Paesi, forse anche arabi. Trump vuole affermare il ruolo di superpotenza globale degli Stati Uniti minacciato dalla Russia e soddisfare le pressioni di Arabia saudita e Israele che gli chiedono di colpire l’Iran in Siria. Infine vuole lanciare un messaggio chiaro a Tehran.
Trump raggiungerà i suoi scopi?
Il presidente americano è salito in cima all’albero. Ora sarà difficile per lui scendere giù. Ed è alto il rischio che questa avventura militare si trasformi in un boomerang per Washington, anche perché il Cremlino non starà a guardare la distruzione della Siria senza muovere un dito. Nena News
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