Tra ieri e oggi quattro abitazioni palestinesi sono state distrutte nei quartieri di Issawiya e Jabal al-Mukabber. Intanto un sondaggio dice che il 79% degli israeliani non intende condividere la Città Santa
della redazione
Roma, 29 marzo 2017, Nena News – Quattro case palestinesi demolite in 24 ore a Gerusalemme dai bulldozer israeliani: accanto all’espansione coloniale, a comprimere la presenza palestinese nella Città Santa è anche la distruzione di abitazioni nei quartieri arabi.
Questa mattina le autorità israeliane hanno demolito, senza previa notifica, due case a Jabal al-Mukabber, giustificandolo con l’assenza del permesso di costruzione. Le due abitazioni erano di proprietà dei fratelli Islam e Imam al-Abbasi e ci abitavano 14 persone, di cui 10 bambini. Le due famiglie hanno denunciato di non aver ricevuto alcuna notifica e di aver presentato una richiesta di congelamento della prevista demolizione senza però ricevere alcuna risposta dal comune.
Ieri mattina erano invece stati demoliti due edifici in costruzione nel quartiere di Issawiya. Uno dei due era quasi completo e la famiglia proprietaria, Abu al-Hummus, stava per trasferirsi. Una realtà molto diffusa a Gerusalemme est dove i palestinesi non riescono ad ottenere quasi mai i permessi legali e costruiscono comunque.
Secondo un rapporto pubblicato lo scorso anno dal quotidiano israeliano Haaretz e basato su dati ufficiali israeliani, dei 3.238 permessi rilasciati dal comune di Gerusalemme nel 2015 solo 188 sono stati destinati a palestinesi, il 5,8% quando la popolazione palestinese rappresenta quasi il 40% del totale. A ciò si aggiunge l’elevato costo per presentare domanda di permesso, fino a 300mila shekel (quasi 80mila dollari) in una zona in cui il 75% dei residenti vive sotto la soglia di povertà.
In tutti i Territori Occupati il rischio, elevatissimo, è quello della demolizione: il 2016 è stato l’anno record per il numero di case distrutte. Secondo i dati dell’agenzia Onu Ocha sono state demolite 1.089 abitazioni e quasi 1.600 palestinesi sono rimasti senza un tetto sulla testa. E dall’inizio del 2017, in meno di tre mesi, sono già 42 le case distrutte e 80 i palestinesi colpiti.
Una situazione di discriminazione continua: mentre da un lato case per coloni aumentano a ritmo vertiginoso, quelle dei palestinesi non vengono autorizzate. A monte stanno le politiche governative che si ripetono con più o meno intensità dal 1948, ma anche la percezione dell’opinione pubblica israeliana: a darne un’idea è il sondaggio pubblicato ieri dal Jerusalem Center for Public Affairs, secondo il quale più del 50% degli ebrei israeliani si oppone al ritiro dai Territori Occupati e il 79% ritiene di dover mantenere Gerusalemme città unità sotto il controllo israeliano.
Nello specifico il 77% si oppone al ritiro totale dalla Cisgiordania e il 57% al ritiro parziale. Il 44% invece concorda con il ritiro solo a patto di un’annessione dei principali blocchi coloniali e della creazione di uno Stato palestinese demilitarizzato. Esclusa la Valle del Giordano: l’8% degli intervistati pensa che debba restare sotto il controllo israeliano. Nena News