Le autorità israeliane intensificano le restrizioni sul passaggio di palestinesi da e verso Gaza, tenendoli separati dalla Cisgiordania. Tra le vittime di questa politica, anche pazienti che necessitano di cure mediche
di Rosa Schiano
Roma, 28 settembre 2016, Nena News – Nadia Abu Nahla al Bakri, palestinese affetta da cancro, avrebbe dovuto attraversare il valico di Erez per ricevere cure mediche presso l’ospedale di Tel Hashomer, ma le autorità israeliane non le hanno rilasciato il permesso di lasciare Gaza. La donna, affetta da cancro al seno dal 2009, era stata precedentemente operata presso lo stesso ospedale di Tel Hashomer dove i medici le avevano raccomandato di restare sotto controllo medico, considerato che le apparecchiature per gli esami radiologici non sono disponibili negli ospedali di Gaza.
La cinquantaduenne, che aveva potuto recarsi l’ultima volta presso l’ospedale nel dicembre del 2015, soffrirebbe di problemi di salute ed i medici le avevano per questo fissato un appuntamento per verificare le sue condizioni e darle le cure mediche necessarie. La donna aveva così inviato una richiesta all’Ufficio palestinese di coordinamento e intermediazione per poi scoprire il 30 marzo che la sua domanda era stata respinta.
Dopo una serie di appuntamenti saltati per assenza di permessi, l’ultimo era stato fissato per il 20 settembre. Al Bakri è una donna impegnata, direttrice del Women’s Affairs Technical Committee (comitato tecnico sulla condizione delle donne) di Gaza, membro dei consiglio direttivo del Palestinian Center for Human Rights (Centro palestinese per i diritti umani) ed attivista della società civile palestinese. Il PCHR, che lunedì ha denunciato il caso, ha sottolineato che la politica israeliana di non concedere il permesso di viaggio a pazienti che hanno bisogno di ricevere cure mediche costituisce una violazione del diritto internazionale umanitario soprattutto perché si inserisce nel contesto di un blocco continuo che non fa che accrescere la sofferenza dei pazienti che necessitano di cure non disponibili negli ospedali di Gaza.
Il Ministero della Salute palestinese, a causa della frammentazione del sistema sanitario, spesso rinvia pazienti che necessitano di assistenza sanitaria specialistica a strutture più avanzate in Cisgiordania, incluso Gerusalemme Est e Israele. Secondo l’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari Umanitari, la percentuale di pazienti autorizzati ad attraversare il valico di Erez è diminuita progressivamente dal 2012 e – soprattutto nel 2016 – ad un numero maggiore di pazienti è stato negato o ritardato il permesso di uscire dalla Striscia.
Nei primi sette mesi di quest’anno, infatti, delle 14.452 richieste di permessi fatte dal il Ministero della Salute palestinese destinate a pazienti di Gaza, solo il 70,4% sono state approvate, mentre il 6,8 % delle richieste sono state negate ed il restante 22,8 % non hanno ricevuto risposta; questi pazienti hanno così perso i loro appuntamenti. Ancora, riporta l’Ocha, quasi un terzo dei pazienti sono minori sotto i 18 anni, il 15.7 % sono adulti di età maggiore ai 60 anni e circa il 45.6% sono donne.
Quest’anno maggiori restrizioni sono state imposte anche agli accompagnatori, in particolare agli adulti fino all’età di 55 anni – invece che di 35 come precedentemente stabilito – una norma che ha reso più difficile trovare come accompagnatoreun parente di primo grado soprattutto se il paziente è un bambino. I pazienti ed i loro accompagnatori rientrano in quelle poche categorie a cui è consentito l’attraversamento del valico, principalmente concesso inoltre ad operatori economici, commercianti ed impiegati di organizzazioni internazionali con permessi israeliani, nel contesto di una politica che mira a tenere separati i palestinesi della Striscia di Gaza da quelli della Cisgiordania.
Physicians for Human Rights-Israel (Medici per i Diritti Umani – Israele) riferisce a sua volta di un aumento di pazienti affetti da cancro che si sono rivolti all’organizzazione per ricevere assistenza a causa dei permessi negati. Tra gennaio e giugno 2016, l’organizzazione riferisce di aver aiutato 43 pazienti malati di cancro che necessitavano di cure mediche, rispetto ad un totale di 48 casi registrati in tutto il 2015. Tuttavia, se nel 2015 l’intervento dell’organizzazione ha garantito i permessi necessari, dall’inizio del 2016 esito positivo si è ottenuto solo per una minoranza dei casi.
Alla luce della costante chiusura del valico egiziano di Rafah, il valico di Erez assume una maggiore importanza diventando la principale porta di ingresso e di uscita per quasi due milioni di persone, non solo pazienti che hanno bisogno di assistenza sanitaria, ma anche per coloro che cercano opportunità lavorative, studenti e per chi ha famigliari in Cisgiordania e Israele.
Eppure quello su Gaza sembra essere un assedio dimenticato, un blocco che passa inosservato. Se da un lato è vero che con l’allentamento delle restrizioni avvenuto a seguito dell’offensiva israeliana del 2014 il numero dei palestinesi che rientrano nelle categorie che hanno diritto all’attraversamento del valico sia più che raddoppiato nel 2015, i numeri restano decisamente bassi e – sottolinea l’Ocha – inferiori rispetto all’inizio della seconda intifada nel 2000. Nel 2016, i dati relativi a luglio mostrano inoltre un calo del 15% nelle uscite da Gaza rispetto alla media mensile della prima metà dell’anno, con un calo del 27% nel numero di permessi concessi agli operatori commerciali. Il rifiuto dei permessi ha riguardato anche personale di Gaza delle Nazioni Unite.
Secondo il COGAT (Coordinamento delle attività governative nei Territori), il numero dei permessi israeliani rilasciati sarebbe più che raddoppiato rispetto al 2013. Tuttavia anche il numero dei permessi negati è notevolmente salito: solo il 46% dei permessi è stato approvato quest’anno rispetto all’80% dei permessi approvati nel 2013.
L’ancor più recente rapporto di Gisha, centro legale israeliano per la protezione della libertà di movimento dei palestinesi, conferma le maggiori restrizioni imposte alla libertà di movimento e il rifiuto dei permessi di viaggio sulla base di non precisati “motivi di sicurezza”. Inoltre, il centro rivela un aumento di casi di interrogatori, di pressioni mirate ad ottenere collaborazione e di persone mandate indietro anche dopo aver ricevuto l’autorizzazione per attraversare il valico.
Gisha riporta nel documento pubblicato questo mese il caso di uno studente a cui non è stato permesso di tornare a studiare in Europa. Il trentatreenne di Gaza aveva viaggiato attraverso il valico di Rafah nel 2014 per seguire un dottorato di ricerca in un paese europeo; nel corso degli studi aveva ottenuto un permesso israeliano per fare ricerca in Cisgiordania e Gaza, pianificando di tornare in Europa dopo poche settimane per continuare gli studi. Dopo aver chiesto ed ottenuto un permesso per uscire da Gaza e tornare in Europa attraverso la Giordania, lo studente è arrivato al valico di Erez, e, dopo alcune ore di attesa, gli è stato comunicato che non gli sarebbe stato permesso di lasciare Gaza per “motivi di sicurezza”, restando bloccato nella Striscia.
Gisha, che si è occupata del caso, ha chiesto un altro permesso alle autorità israeliane sottolineando la necessità per lo studente di tornare in Europa prima della scadenza del suo permesso di residenza; ad una settimana dalla scadenza,all’organizzazione è stato comunicato che lo studente avrebbe avuto il permesso di attraversare Erez dopo due giorni, ma quando il giovane è arrivato al valico gli è stato nuovamente detto di non avere il permesso di attraversarlo per motivi di sicurezza. In assenza di informazioni sulle ragioni del blocco, Gisha non è in grado di contestarlo per vie legali.
Di fatto, gli individui che sono bloccati per motivi di sicurezza non sono informati sulla natura del provvedimento, spesso nemmeno nel corso di procedimenti legali, il che impedisce loro ed i loro rappresentati legali di impugnare la decisione.
Sempre più spesso, operatori commerciali, pazienti e studenti che hanno ottenuto permessi per lasciare Gaza devono inoltre far fronte ad interrogatori, rischi di detenzione e in alcuni casi, di arresto da parte della sicurezza israeliana al valico di Erez. Di recente, ad un numero crescente di persone è stato chiesto di accettare interrogatori in cambio dell’ottenimento di un permesso di viaggio, ciò è stato chiesto anche a coloro che regolarmente ricevevano l’autorizzazione ad attraversare il valico. Israele sostiene che questa pratica sia una necessaria misura di sicurezza, mentre voci critiche affermano che colpisce i più deboli e mette in pericolo coloro che vengono interrogati e che porteranno su di essi l’ombra del sospetto di aver collaborato con Israele.
Questa pratica genera ansia tra coloro che intendono chiedere dei permessi per uscire. Alle persone convocate per gli interrogatori in cambio dei permessi vengono chieste principalmente informazioni su amici e vicini, sui propri parenti e su eventuali coinvolgimenti in Hamas, sulle abitazioni, ma anche sui gruppi armati, successivamente di ritorno a Gaza la sicurezza palestinese spesso chiede loro cosa è stato chiesto e cosa hanno risposto. Quella degli interrogatori è una pratica utilizzata da tempo dalle autorità israeliane per ottenere informazioni e di cui sono frequentemente vittime i pescatori palestinesi che vengono arrestati dalla marina militare.
Nel frattempo, quello che per un certo periodo di tempo ha rappresentato l’unica porta di uscita per i palestinesi verso il mondo esterno, il valico egiziano di Rafah, resta chiuso per la maggior parte del tempo. Le tensioni nell’area non aiutano e non fanno che isolare maggiormente la piccola enclave palestinese dal mondo esterno. Lunedì funzionari egiziani hanno riferito che miliziani dello Stato Islamico avrebbero ucciso nel Sinai cinque civili perché sospettati di collaborazione con l’esercito egiziano che sta lottando contro i miliziani nell’area della città di Rafah e di Sheikh Zuweid, dove i corpi sono stati ritrovati. Il gruppo Ansar Beit al-Maqdis, precedentemente affiliato ad Al Qaeda, nel 2014 ha dichiarato fedeltà allo Stato Islamico.
Il valico ha aperto 3 giorni il 31 agosto per permettere il viaggio dei pellegrini ed è rimasto aperto per altri cinque giorni permettendo il passaggio dei palestinesi che rispondevano ai criteri stabiliti dall’Egitto. Il valico, la cui apertura resta quindi a discrezione delle autorità egiziane, è stato aperto per poco più di venti giorni dall’inizio dell’anno; in tutto il 2015 è stato aperto solo 25 giorni per le persone in uscita da Gaza. Nena News
Rosa Schiano è su Twitter: @rosa_schiano
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