Viaggio nel campo libanese al confine con la Siria: le condizioni dei rifugiati siriani sono drammaticamente peggiorate con l’arrivo dell’inverno.
foto e testo di Giacomo Sini
Arsal (Libano), 13 febbraio 2014, Nena News – La guerra civile siriana sta contagiando il Libano, un contagio fatto di attentati terroristici, settarismi politici e esodo di profughi nel Paese dei Cedri. Visitiamo i campi di Arsal, nella valle della Beqaa al confine nord orientale con la Siria, e Akkar, sul fronte settentrionale.
La situazione più tragica è nel campo profughi di Arsal, in prossimità del centro cittadino, un’enclave sunnita in una zona circondata da villaggi a prevalenza sciita, nei quali Hezbollah spadroneggia. Il giorno precedente al nostro arrivo nel campo, alcuni razzi dalla Siria erano caduti sulla città, provocando numerose vittime tra la popolazione locale. La già complicata situazione della zona di confine, dove sovente si manifestavano gli strascichi della guerra siriana, si è inasprita, provocando terrore tra la popolazione siriana in fuga, già traumatizzata dalle violenze della guerra in patria.
Nel campo nella struttura d’educazione per bambini alcuni operatori di un’associazione non governativa internazionale prestano supporto psicologico ed educativo. Le strutture basilari sono gestite con i fondi stanziati dal Qatar e dall’Onu; in altre zone le persone si accampano come possono oppure occupano edifici abbandonati, nel totale disinteresse del governo nazionale che non ha provveduto alla creazione di campi ufficiali.
Camminando per il campo veniamo spesso bloccati da persone che vogliono esprimere la loro rabbia per le condizioni di vita nelle quali sono costrette a vivere, soprattutto nella zona gestita con fondi Onu. Dopo una prima ondata di aiuti arrivata nel 2013, oggi si sentono completamente abbandonati. Mancano energia e acqua ed in alcune tende poste al di fuori del piccolo edificio scolastico, si vive in undici in uno spazio adibito per cinque.
Nella zona gestita dall’Onu, per settecento persone ci sono solamente quattro bagni all’aperto ed una sola struttura con delle docce, nella quale viene gettato ogni tipo di rifiuto, in assenza d’altro spazio. Arsal si trova a 1500 m sopra il livello del mare ed il freddo a queste altitudini ed in condizioni di vita simili, si fa sentire. La neve si accumula sulle tende, quasi invivibili, e rischia di lasciar morire congelate centinaia di famiglie.
Le persone che abitano il campo provengono principalmente dalle città di Qseir, Homs e Qalamoun dove negli ultimi giorni la battaglia tra le milizie ribelli e quelle lealiste si è fatta durissima. Sotto il fragore delle bombe che esplodono oltre il confine, risuonano nell’aria le parole dei profughi contro il governo Assad. L’odio nei confronti della guerra e l’insofferenza verso qualsiasi violenza perpetuata dall’interminabile conflitto, hanno comunque la prevalenza su ogni settarismo. Molti profughi ci spiegano che, al di fuori del campo di Arsal, tra le persone che scappano dalla Siria ci sono sostenitori del presidente Assad.
Hezbollah stesso, impegnato in azioni di guerra in territorio siriano al fianco di Assad, ha fornito con le sue organizzazioni affiliate, alcuni aiuti umanitari a profughi siriani, soprattutto nel sud del Libano.
Ritorniamo a Tripoli tra esplosioni di granate e colpi di rpg che spezzano il silenzio della notte nelle strade semideserte della città. Tornano alla mente le immagini disastrose del campo profughi di Arsal e le parole di un ragazzo davanti ad una vecchia tenda dell’UNHCR recuperata dal passato. Frasi che raccontano un Libano imbottito d’una polvere violenta che si ripresenta quotidianamente e fatica ad andarsene via, come accade da sempre sul tessuto di quel telo martoriato, sotto il quale continua a vivere la sofferenza. Nena News