Il sacro anonimato dei soldati viene motivato con il fatto che essi agiscono in nome dello stato, non soltanto dell’esercito. E’ una legge di natura che qualunque ente che indaga su sé stesso sarà negligente nel condurre le indagini. Le cause civili per danni sono presumibilmente un modo per aggirare questa legge di natura.
di Amira Hass – Haaretz
Ramallah, 16 ottobre 2014, Nena News – Omri e Yaron sono due soldati del Battaglione 202 della Brigata Paracadutisti. Non ci è consentito conoscere i loro nomi completi. Nelle dichiarazioni che hanno sottoposto alla corte hanno sostenuto che rivelare il proprio nome potrebbe causare loro dei problemi quando vanno in missione come riservisti in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza. Sarebbero rimasti totalmente anonimi, ma per la procedura legale sono stati rintracciati – anonimi per chi ritiene che Zakaria Daraghmeh, padre di cinque figli, non sia soltanto una X sul crescente elenco dei palestinesi uccisi dai soldati israeliani
Il principio di garanzia dell’anonimato per i soldati che hanno ucciso civili palestinesi al di fuori di scontri, aiuta ogni giornalista a collaborare al meccanismo che permette di sottrarsi a responsabilità e colpe. E’ lo stesso meccanismo burocratico e psicologico che agisce in senso esattamente opposto quando si tratta di palestinesi sospettati di aver ucciso degli israeliani. L’esercito fornisce i loro nomi completi, i luoghi di residenza, le notizie relative alle famiglie, i nomi degli ebrei nella cui uccisione essi sono stati presumibilmente coinvolti, e la preparazione ed attuazione dell’azione. I giornalisti si gettano su queste informazioni preconfezionate e pronte all’uso, con una voracità che svanisce nel nulla quando si parla dell’infinito elenco di anonimi israeliani che hanno ucciso dei palestinesi.
Il sergente Omri ed il sergente maggiore Yaron del Battaglione 202, che ora sono riservisti e magari studenti in un college o neo papà, uccisero Zakaria Daraghmeh a Tubas nel maggio 2006. L’incidente avvenne mentre Daraghmeh stava aspettando eventuali passeggeri per oltrepassare un grosso blocco stradale di tumuli di terra e fossati, lungo circa mezzo chilometro, che l’esercito aveva costruito per isolare Nablus dalle città e dai villaggi nel nord est della Cisgiordania. I taxisti come Daraghmeh guidavano da un lato del blocco ed aspettavano i passeggeri che i taxi facevano scendere dall’altro lato, e che poi si arrampicavano sui cumuli di terra, avanzavano facendo attenzione intorno alle buche, si scrollavano il fango e la polvere dagli stivali e dai risvolti dei pantaloni, e salivano sul taxi.
Daraghmeh raggiunse il lato nordest dell’interruzione circa alle 4 del pomeriggio di quel giorno. Quando uscì dal taxi, lasciò il motore acceso e chiese ad un altro autista lì vicino di spegnerlo dopo alcuni minuti. Gli autisti spiegano che questo è un modo per proteggere il motore diesel.
I tumuli di terra impedivano di vedere ciò che avvenne 500 metri più in là. Daraghmeh incominciò ad arrampicarsi sull’altro lato, che era più alto. Trovò un solo passeggero ed insieme ritornarono verso il suo taxi. A quel punto arrivò la jeep dell’esercito. Omri e Yaron (che comandava la squadra) si trovavano all’interno con altri due soldati, che il procuratore di stato (la difesa) non ha mai chiamato a testimoniare. Infine, Omri sparò a Daraghmeh alla schiena. Più tardi, Yaron e Omri avrebbero spiegato che Daraghmeh e l’altro uomo erano “fuggitivi”, che fa rima con “sospetti”, che fa rima con “terroristi”, che fa rima con bersaglio lecito.
Non è mai passato per la loro testa che il taxista ed il passeggero volessero evitare che i soldati li bloccassero per ore, come spesso avviene in questi blocchi stradali, per cui sono corsi via velocemente da loro (per quanto si può correre in mezzo a tumuli e buche). I soldati hanno anche detto che Daraghmeh ha tirato fuori una pistola minacciandoli. La presunta pistola non fu trovata sul corpo di Daraghmeh: era svanita.
A un certo punto, circa sette mesi dopo l’uccisione di Daraghmeh, un impertinente avvocato di nome Firas Jabaly fece causa per lesioni personali contro lo stato. Il processo fece parzialmente uscire i soldati dall’anonimato, e Omri e Yaron furono costretti a rispondere alle domande. E’ molto probabile che si siano sentiti penalizzati, in confronto ai loro compagni che avevano ucciso e ferito decine di migliaia di palestinesi inermi nel corso degli anni senza che la loro vita quotidiana ne venisse turbata.
Secondo la testimonianza al processo di Omri e Yaron, i funzionari dal cuore tenero della polizia militare investigativa non li avevano nemmeno convocati per interrogarli e chiedere chiarimenti, dal gennaio 2012. Proviamo a indovinare: nessun investigatore della polizia militare li ha mai interrogati prima che l’Avvocato generale dell’esercito Danny Efroni decretasse la chiusura del caso nell’aprile del 2014.
Jabaly ed il giudice Yousif Sohil posero a Yaron ed Omri tutte le domande che un serio investigatore avrebbe dovuto porre per chiarire se le loro vite si fossero davvero trovate in un pericolo tale da giustificare l’aver sparato a Daraghmeh alle spalle. L’interrogatorio fece emergere tutte le contraddizioni della loro testimonianza. Il giudice evitò gentilmente di dire che stavano mentendo.
Il procedimento legale rivelò la ritrosia dello stato ad arrendersi all’evidenza, come ha sottolineato il giudice Sohil. Egli sentenziò che lo stato deve pagare i danni alle famiglie, le spese processuali ed una parcella per l’intervento dell’avvocato. Dato che l’ammontare dei danni dovrà essere stabilito entro dicembre, lo stato potrebbe appellarsi contro la sentenza, ed il processo potrebbe proseguire presso un tribunale di grado superiore.
Il sacro anonimato dei soldati viene motivato con il fatto che essi agiscono in nome dello stato, non soltanto dell’esercito. E’ una legge di natura che qualunque ente che indaga su sé stesso sarà negligente nel condurre le indagini. Le cause civili per danni sono presumibilmente un modo per aggirare questa legge di natura.
Ma lo stato sa perfettamente come arginare la proliferazione di queste cause intentate dai palestinesi, soprattutto stabilendo delle spese processuali così alte da costituire un deterrente. La famiglia di Daraghmeh riuscì a mettere insieme 9000 shekels per le spese processuali (le somme richieste sono normalmente di molte volte più alte).
Il meticoloso lavoro di Jabaly e Sohil ha smascherato un’altra piccola parte del sistema compiacente in base al quale tanti israeliani uccidono dei palestinesi ed è loro consentito uccidere, senza essere sottoposti ad indagini, processi e punizioni.
(Traduzione di Cristiana Cavagna)