Ieri un’autobomba è esplosa a Damasco nella piazza Tahrir uccidendo almeno 21 persone. Doppio attentato in Iraq: nell’Anbar prima (14 morti) e oggi a Mosul. Human Rights Watch, intanto, accusa l’esercito iracheno: “Sta commettendo in città crimini di guerra”. Il governo siriano respinge il recente rapporto dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche
della redazione
Roma, 3 luglio 2017, Nena News – Il “falso califfato” sarà pure ormai vicino alla fine, come ha detto alcuni giorni fa il premier iracheno al-Abadi, ma continua (come era prevedibile) a uccidere. Due attacchi suicidi sul suolo iracheno, avvenuti a distanza di meno di 24 ore l’uno dall’altro, infatti, hanno causato la morte di almeno 15 persone. Il più recente è avvenuto stamane nella città vecchia di Mosul dove l’esercito iracheno sta combattendo contro gli ultimi jihadisti rimasti: qui due donne, dopo essersi nascoste tra un gruppo di civili in fuga, hanno attivato l’esplosivo che portavano con loro uccidendo un soldato e ferendone diversi. Ieri, invece, l’attacco più sanguinoso: 14 persone sono state massacrate da un attentatore suicida vestito da donna che si è fatto saltare in aria nella provincia occidentale irachena dell’Anbar.
Intervistato dall’Associated press, il Sergente Ali Abdullah Hussein ha detto che l’Isis sta usando l’arma degli attentati suicidi come ultima tattica: negli ultimi tre giorni – ha spiegato Hussein – si sono registrati nell’area almeno 4 attacchi simili. L’attentato di oggi è avvenuto vicino alla moschea distrutta di al-Nuri da poco riconquistata dall’esercito. Un’area altamente simbolica: tre anni fa, infatti, il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi annunciava qui la nascita dello “Stato islamico” (Is). Le esplosioni di oggi risultano ancora più odiose perché avvengono mentre centinaia di civili di Mosul provano a mettersi in fuga dalle violenze della guerra e, con il pretesto della sicurezza potrebbero aumentare i tempi per l’accoglienza degli sfollati e esacerbare le tensioni con le comunità ospitanti.
L’attentato di ieri nell’Anbar (14 morti, 20 feriti), invece, è avvenuto al tramonto di ieri mentre le autorità stavano accogliendo le famiglie che erano scappate dalla cittadina di Qaim (nord ovest dell’Iraq) controllata dal “califfato”. Tra i morti c’è anche un colonello della polizia che, racconta il consigliere Taha Abdul Ghani, insospettito da un uomo rivelatosi poi l’attentatore, si sarebbe gettato su quest’ultimo riducendo l’impatto della deflagrazione. L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma per le modalità d’esecuzione sembra avere il marchio dell’Is.
Ma se lo Stato Islamico è brutale, non sarebbero così angeliche le forze “liberatrici”, ovvero quelle irachene. Secondo un rapporto della ong Human Rights Watch (HRW), infatti, l’esercito starebbe uccidendo ragazzi e uomini che fuggono da Mosul. Testimoni oculari intervistati da HRW hanno raccontato di essere stati picchiati dai militari mentre cercavano di mettersi in fuga dai combattimenti. “Le truppe irachene stanno promettendo la liberazione, ma devono sapere cosa sta accadendo ora e fermare gli abusi” ha detto Lama Fakih, vice direttrice della sezione Medio Oriente di Human Rights Watch.
Un residente ha racconto a HRW che le forze di sicurezza l’hanno esortato a uccidere alcuni uomini disarmati presumibilmente appartenenti all’Is. “Avevo già sentito parlare di innumerevoli abusi ed esecuzioni in questa battaglia – ha raccontato – ma quello che è cambiato ora è che in questa fase finale i combattenti [dell’esercito] non nascondono più cosa fanno, non hanno problemi al fatto che noi siamo testimoni dei loro abusi”. Un altro cittadino ha raccontato all’ong umanitaria statunitense di aver visto due soldati del reparto anti-terrorismo colpire con delle pietre il corpo di un presunto jihadista prima di mettersi in posa con il suo cadavere per scattare delle foto dopo averlo tolto da un palo elettrico dove era stato messo.
Barbarie irachene che si aggiungono a quelle siriane. Ieri mattina un’autobomba è riuscita ad eludere le forze di sicurezza siriane e si è fatta esplodere nella parte orientale di Damasco compiendo una strage: almeno 21 i morti, l’attentato più sanguinoso nella capitale negli ultimi mesi. I media di stato riferiscono che i soldati erano riusciti a intercettare in prima mattinata tre vetture sospette che si dirigevano in città. A quel punto gli autisti di due veicoli segnalati si facevano esplodere, ma un terzo riusciva ad eludere i controlli e raggiungeva piazza Tahrir dove, sebbene circondato, riusciva a farsi esplodere.
Sul piano politico, invece, il vice ministro degli Esteri siriano, Faisal Mekdad, ha respinto oggi il rapporto dell’OPCW (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) pubblicato la scorsa settimana che conferma l’uso del gas sarin nella cittadina dell’opposizione di Khan Sheikhoun lo scorso aprile (non dice però chi fu il responsabile). Il raid provocò la morte di 89 persone.
Mekdad ha giustificato la sua posizione dicendo che gli ispettori hanno rifiutato gli inviti di Damasco a visitare il sito dell’attacco o l’aeroporto militare (presumibilmente) ad esso connesso. Il loro studio, quindi, mancherebbe della dovuta credibilità perché non è fatto sul posto.
Il governo siriano poi ha annunciato che da ieri a mezzogiorno sono sospese le operazioni belliche nel sud della Siria. Lo scopo del provvedimento, si legge in una nota dell’esercito, è “sostenere gli sforzi di riconciliazione”. Il cessate il fuoco dovrebbe durare fino a giovedì. L’area interessata comprende anche la provincia di Quneitra dove Israele ha colpito recentemente alcuni avamposti militari siriani. Nena News