Solo il raggiungimento della condizione di Stato potrebbe salvare la Cisgiordania da un’incombente ondata di violenze, crimini, caos, malattie, sostiene un importante rapporto palestinese
di Amira Hass – Haaretz
(traduzione di Amedeo Rossi)
Gerusalemme, 28 marzo 2014, Nena News – Il collasso dell’Autorità Nazionale Palestinese trasformerebbe la Cisgiordania in un luogo violento e caotico, ad alto tasso di criminalità e a rischio per la salute. Ma, anche se la maggioranza dei palestinesi volesse la sopravvivenza dell’A.N.P., sia per amore di un fondamentale ordine sociale o per interesse personale, e nonostante i timori di Israele di dover farsi carico di tre milioni di palestinesi della Cisgiordania, il regime del presidente Mahmoud Abbas crollerebbe in poco tempo se Israele continuasse a ostacolare l’aspirazione palestinese all’indipendenza.
Queste sono le conclusioni a cui è arrivato un consistente studio durato 6 mesi e condotto dal rinomato Centro Palestinese di Analisi e Ricerca Politica (Palestinian Center for Policy and Survey Research) di Ramallah, diretto dal Dr. Khalil Shikaki.
Un gran numero di palestinesi ha un ben radicato interesse nel fatto che l’ANP continui ad esistere, sostiene Shikaki. I rapporti con l’ANP comportano “vantaggi di carattere finanziario, status politico e sociale, e ci sono ambienti che dipendono dai propri rapporti con l’ANP. Qualunque cosa dovesse succedere all’ANP li priverebbe di questi privilegi. Si tratta di organizzazioni, di gruppi economici o individui che hanno posizioni di potere che gli permettono di distribuire favori ai propri sostenitori.
“Se ne avessero il potere, farebbero del loro meglio per evitare [il crollo dell’ANP],” dice Shikaki, “Ma persino quelli che hanno un interesse personale a soddisfare le richieste di Israele, con lo scopo di salvare l’ANP, non lo potranno fare ancora per molto.” Se il palestinese medio ancora sostiene l’ esistenza dell’ANP è perché desidera un certo livello di ordine pubblico, aggiunge. “ La gente non vuole trovarsi senza un potere centrale che sia in grado di evitare il caos e l’anarchia per le strade, anche se è molto critica nei confronti dell’ANP e del suo modo di operare. Ma i palestinesi sono disposti a rischiare che collassi completamente, se ciò accadesse nel contesto di una lotta per cambiare lo status quo. Se ci fosse una buona ragione perché crolli, allora [l’atteggiamento è] lasciamo che succeda.”
L’ANP ha compiuto 20 anni, ma critiche nei confronti della sua efficacia si sono sentite già all’inizio della seconda Intifada, nel 2000. Sono tornate ed intensificate negli ultimi due o tre anni, quando è apparso chiaro che l’ANP non è stata in grado di ottenere nessuno dei due obiettivi per i quali è stata creata: la condizione di Stato e la fornitura di servizi pubblici. Se a questo si aggiungono le sempre più acute difficoltà economiche e la rottura con la Striscia di Gaza, il quadro del fallimento è completo.
Un rapporto senza precedenti
“Il rapporto finale ‘The Day After’: le possibilità, le conseguenze e le implicazioni politiche di un collasso o dissoluzione dell’ANP” non ha precedenti per quanto riguarda la portata e l’impegno a fare i conti con la questione. Più di 200 professionisti palestinesi hanno partecipato alle discussioni che hanno portato a un rapporto di 250 pagine.
Lo studio conclude sostenendo che l’ANP potrebbe collassare in uno dei seguenti tre modi. Il primo, lo scenario meno probabile, sarebbe la decisione volontaria della dirigenza palestinese di sciogliere l’ANP. Il secondo avverrebbe in conseguenza del potere di Israele di punirla economicamente, militarmente e politicamente, insieme alla pressione politica ed economica, soprattutto americana, in risposta a passi da parte palestinese che violino l’attuale status quo, come ad esempio far ricorso alla Corte Penale Internazionale o dirigere una sollevazione non armata. La terza possibilità sarebbe il crollo risultante da una agitazione e ribellione interna palestinese.
Tra i partecipanti [alla discussione n.d.t.] ci sono coloro che vedono la disintegrazione dell’ANP come un fatto certo nel breve periodo, dato il rifiuto di Israele ad accettare la soluzione “dei due Stati” in linea con i principi e le decisioni internazionali. In base a quanto sostiene Shikaki, coloro che considerano positivamente il crollo dell’ANP per il momento sono in minoranza, e tendenzialmente sono persone favorevoli a uno Stato unico binazionale. Ma è evidente che i tre principali attori – la stessa ANP, Israele e la comunità internazionale – non sono interessati alla scomparsa dell’ANP.
Shikaki sostiene di aver chiesto agli Israeliani “in base a quali circostanze Israele potrebbe perdere interesse nel preservare l’ANP, e la loro opinione è stata che i palestinesi non sono stupidi e non vogliono arrivare al punto da far cambiare a noi [israeliani] le nostre priorità.” Questa prospettiva di Israele sembra confermare la posizione dei palestinesi critici che sostengono che l’ANP è asservita agli interessi di Israele. In effetti Shikaki afferma:” Tutti i palestinesi che hanno partecipato alla discussione condividono l’idea che Israele e l’ANP hanno un comune interesse a che l’ANP continui a funzionare. Nel complesso la società palestinese capisce che l’ANP è in grado di esistere finchè Israele ne è soddisfatta, e finchè i palestinesi ritengono che è utile a loro.”
Gli israeliani intervistati sono consci del fatto che le politiche di Israele sarebbero in grado di rovesciare l’ANP? Sì, secondo Shikaki:”Pensano che [la politica di Israele] possa peggiorare notevolmente le condizioni, ma che Israele entrerà in campo all’ultimo momento ed eviterà un crollo.”
Shikaki ha rilevato che tutti i partecipanti ritengono che “ci sarebbe un tentativo a tutti i livelli di prevenire un collasso.” Paradossalmente, egli dice:” Ciò offre ad ognuno degli attori il conforto di credere di poter fare molto danno alla controparte senza rischiare che essa imploda.” In questo modo, i rapporti Israele-ANP diventano come una competizione per dimostrare la propria capacità di resistenza, un’analogia usata nelle discussioni focalizzate sui modi in cui i palestinesi potrebbero obbligare gli israeliani a cedere per primi.
Se c’è una decisione di smantellare volontariamente l’ANP, “i palestinesi possono cercare di obbligare Israele a rendere più dura l’occupazione, tornando alla situazione prevalente prima del 1994, oppure a cambiare politica e arrivare a negoziati seri per porre termine all’occupazione, o a ritirarsi unilateralmente dalla maggior parte della Cisgiordania, “in base al documento finale del Centro. Oppure, nel caso di un collasso dovuto a pressioni esterne o interne, “ la prevedibile mancanza di sicurezza potrebbe obbligare Israele a riconsiderare le sue opzioni.”
Il rapporto conclude che i risultati di un fallimento dell’ANP dipenderebbero soprattutto da se i vari membri della dirigenza palestinese romperanno o meno le consolidate abitudini di scarsa pianificazione, di mancanza di trasparenza, di eccessiva centralizzazione, di mancanza di organi consultivi e di gratificazione immediata di interessi privati e di fazione. Piuttosto, i dirigenti palestinesi potrebbero decidere di rinnovare lo status dell’OLP e di includere nei suoi ranghi i movimenti islamisti; decentralizzare la pianificazione e la gestione e trasferire queste responsabilità alle organizzazioni e istituzioni civili; mettere in piedi un meccanismo di gestione alternativo; oppure formare un governo in esilio.
Hamas sarebbe il grande vincitore
Questi sono alcuni dei passi preliminari che i partecipanti alla ricerca hanno raccomandato per ridurre le gravi ripercussioni di un crollo dell’ANP. Queste comprendono danni economici per il settore pubblico e privato; povertà molto diffusa; frammentazione sociale e politica; l’aumento delle malattie, con particolare danno per la salute dei bambini; saccheggio delle infrastrutture; rafforzamento delle tribù e dei clan; accentuazione della spaccatura tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania; nascita di bande armate e caos della sicurezza pubblica; e un ritorno alla violenza come mezzo di lotta. Un risultato certo è che Hamas, ed in particolare il governo di Hamas a Gaza, risulterebbe rafforzato.
Tra i partecipanti alla ricerca vi erano docenti universitari, attuali o ex ministri, parlamentari di ogni fazione, uomini d’affari e dirigenti di organizzazioni non governative. Hanno preso in considerazione gli effetti di un fallimento dell’ANP sulla sicurezza, sull’economia, sui rapporti tra Fatah e Hamas e sulla vita politica, sulla salute, sull’educazione, sulle infrastrutture, sulla telefonia e le comunicazioni, sulle amministrazioni locali, sul potere giudiziario e sul futuro della lotta per l’indipendenza.
Il Centro ha anche realizzato 180 interviste a palestinesi per avere una percezione più profonda dei punti di vista prevalenti. Oltre a ciò, Shikaki ha intervistato 12 israeliani tra i militari, l’amministrazione civile, alcuni esponenti di gruppi politici diversi (ma non dell’estrema destra) e istituti di ricerca, anche se Shikaki non li ha voluti specificare. Nena News