L’esercito israeliano ha fatto sapere ieri di aver colpito “quattro siti terroristici” dopo che un missile sparato dalla Striscia di Gaza da una formazione salafita era stato intercettato dal sistema di difesa “Iron Dome”. Netanyahu vola a New York riaprendo ai negoziati con i palestinesi
di Roberto Prinzi
Roma, 30 settembre 2015, Nena News - Gli aerei da guerra israeliani sono tornati di nuovo in azione ieri notte in risposta a un missile sparato dalla Striscia di Gaza. “Abbiamo attaccato quattro siti terroristici” ha detto in una nota l’esercito di Tel Aviv che ha fornito solo scarni dettagli. Il razzo sparato dalla piccola enclave palestinese (sottoposta ad assedio da parte di Israele dal 2007) è stato intercettato dal sistema difensivo israeliano “Cupola di ferro” nei pressi della città israeliana di Ashdod non causando né danni né feriti.
L’attacco missilistico è stato rivendicato dal gruppo salafita “Brigata Shykh Omar Hadid” che sul suo account Twitter ha sostenuto di aver compiuto il lancio per rivendicare l’uccisione della 18enne Hadeel Hashlomon ad Hebron (Cisgiordania) la scorsa settimana e l’arresto di Iman Kanjou, un palestinese cittadino d’Israele arrestato a inizio mese perché sospettato di aver provato ad unirsi in Siria allo Stato islamico (Is).
Nonostante il gruppo salafita affiliato all’Is abbia rivendicato l’attacco, Tel Aviv ha comunque attribuito le responsabilità di quanto accaduto al movimento islamico Hamas che governa la Striscia. “Hamas è responsabile e lo sarà sempre per ogni attacco che proviene da Gaza” ha dichiarato il portavoce dell’esercito israeliano Peter Lerner. Eppure Lerner sa bene che Hamas non lancia missili dall’offensiva militare israeliana “Margine protettivo” dell’estate del 2014 e che il movimento islamico da tempo prova a reprimere l’attività armata dei piccoli gruppi salafiti affiliati all’Is. Non è infatti il primo lancio che viene compiuto contro lo stato ebraico da organizzazioni vicine al radicalismo isalmico il cui obiettivo primario non è tanto assestare un colpo all'”entità sionista” ma al governo islamista che dirige la Striscia.
Della battaglia interna tra Hamas e le formazioni jihadiste ne è ben consapevole Israele. Ieri il ministro dell’Intelligence Israel Katz ha detto che i “gruppi terroristici islamici” hanno più possibilità del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas di assumere il potere a Gaza. Katz si è detto favorevole ad un completo abbandono di Tel Aviv dal piccolo lembo di terra palestinese. Per il ministro ciò vuol dire “smettere di fornire elettricità e altre cose alla Striscia completando il ritiro compiuto più di 10 ann fa”. Secondo l’ex titolare del dicastero dei trasporti, inoltre, il governo deve fare di più affinché gli israeliani possano guidare in Israele senza incorrere in pericoli. Insomma giusto il pugno duro deciso dal governo contro i recenti (e molto mediatici) attacchi con pietre compiuti dai palestinesi sui veicoli con targa israeliana. Per Katz, come per molti esponenti politici israeliani sia di destra che di centro, le pietre devono essere considerate per legge un’arma.
Proprio il lancio di sassi ha portato ieri all’arresto di 3 minorenni palestinesi. Alla lista dei detenuti si sono aggiunti anche altri 10 palestinesi: sette per gli scontri alla Spianata delle Moschee a Gerusalemme e tre donne per aver attaccato alcuni israeliani in Città Vecchia. L’unica notizia positiva arrivata ieri per i palestinesi è che il 4 novembre sarà rilasciato l’avvocato palestinese Mohammed Allan. Allan, accusato da Israele di essere un attivista della Jihad islamica, aveva iniziato la scorsa estate uno sciopero della fame per protestare contro la pratica israeliana della detenzione amministrativa (arresto senza processo).
Della situazione incandescente a Gerusalemme e della “volontà” di pace d’Israele ha parlato ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu poco prima di volare a New York per partecipare ai lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. “Incontrerò il Segretario Usa John Kerry e insieme a lui discuteremo su come rafforzare la sicurezza d’Israele. Ma parleremo anche del processo di pace. Israele vuole la pace con i palestinesi ma, con rammarico, continuano a diffondersi bugie sulle nostre politiche sul Monte del Tempio [la spianata delle moschee per i palestinesi, ndr]”. “Israele – ha aggiunto il primo ministro – sta mantenendo lo status quo. Sono i palestinesi a violarlo portando lì armi e danneggiando la sua sacralità”. Netanyahu parlerà giovedì all’Assemblea Onu dove ribadirà il pericolo del nucleare iraniano e sottolinerà “il desiderio d’Israele di fare pace con i palestinesi”. Una dichiarazione, questa, che contrasta con quanto è stato affermato tre giorni fa dalla vice ministra degli Esteri Tzipi Hotovely secondo cui Israele non cederà mai ai palestinesi parti della Cisgiordania (che occupa dal 1967). Una differenza solo linguistica, però, e non ideologica. Le visioni politiche di Hotovely e Netanyahu sono infatti speculari: “Eretz Israel” solo per gli ebrei, no al ritiro dalla Cisgiordania, no allo smantellamento delle colonie. Del resto era stato lo stesso primo ministro a promettere in campagna elettorale lo scorso marzo che se fosse stato eletto non sarebbe nato uno stato palestinese. Hotovely ha avuto il pregio di essersi presa la briga di ripetere un concetto caro a Netanyahu ma che, per via del ruolo istituzionale che questi ricopre, non può esprimere con tale chiarezza. Soprattutto a poche ore prima di recarsi all’Onu.
La lotta palestinese per il riconoscimento di uno stato passa però non solo nei palazzi della diplomazia, ma anche sui campi di calcio. La Federcalcio palestinese ha infatti bollato come “impossibile” la decisione della Fifa (Federazione internazionale di calcio) di disputare il match di qualificazione per i mondiali del 2018 tra la nazionale palestinese e quella saudita in campo neutro. Riyad aveva rifiutato di giocare la partita in Cisgiordania citando imprecisate “circostanze eccezionali”. La richiesta dei sauditi, accolta dalla Fifa martedì, ha mandato su tutte le furie il presidente della Federcalcio palestinese Jibril Rajoub: “privare la Palestina del diritto a giocare in casa è un precedente pericoloso e impossibile da accettare a qualunque condizione”, Nena News