Il processo all’ avvocatessa palestinese Khalida Jarrar ha anche mostrato ciò che lo Shin Bet offre ai suoi ‘ospiti’ mentre vengono privati del sonno e ammanettati, scrive la nota giornalista israeliana
di Amira Hass – Haaretz
Roma, 14 settembre 2015, Nena News - Ci sono diverse ragioni per non scrivere del processo all’ avvocatessa palestinese Khalida Jarrar, che è iniziato lunedì scorso, circa cinque mesi dopo il suo arresto. L’accusa è riuscita a produrre i suoi primi testimoni la scorsa settimana.
Il tenente colonnello Ronen Atzmon, giudice della corte d’appello militare in Giudea [parte della Cisgiordania, ndt.] (“Ofer”), aveva già deciso che Jarrar – membro del Consiglio Legislativo Palestinese nella lista di Abu Ali Mustafa [dal nome del defunto segretario del Fronte popolare per la Liberazione della Palestina ucciso nel 2001 dagli israeliani, ndt.]– dovesse rimanere in custodia fino alla fine del procedimento nei suoi confronti, data la gravità delle accuse: ha visitato una fiera del libro; ha partecipato a un presidio di solidarietà per i prigionieri palestinesi; è membro di un’organizzazione proibita (il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina); ha istigato al rapimento di soldati (anche se il testimone alla base di questa accusa ha detto di non essere sicuro se realmente lei ha detto questo, o se è stato detto da qualcuno alla manifestazione a cui partecipava). Come ogni altro palestinese, Jarrar dovrebbe sapere di essere condannata ancor prima dell’inizio del processo.
La ragione principale per non seguire il processo è che scrivere dell’evento che si svolge nei vagoni del campo Ofer [struttura carceraria in Cisgiordania nota per le condizioni di detenzione particolarmente dure, ndt.] è una forma di collaborazione con l’imbroglio che è alla radice di questo meccanismo. Sono necessarie altre parole per sostituire termini fuorvianti come “processo”, “accuse”, “esame delle testimonianze” e “mio dotto amico”.
Un secondo motivo è che è impossibile intervistare Jarrar e chiederle: Com’ è stare là dentro a quel vagone, e non capire la maggior parte delle discussioni sul tuo caso (poiché la traduzione dall’ebraico all’arabo è così carente)? E come hai fatto a stare sveglia (e sorridere alla tua famiglia) fino alle 4 del pomeriggio, anche se sei stata trascinata fuori dalla tua cella alle 3 del mattino e portata in giro in un autobus che raccoglieva prigionieri ammanettati fino quasi alle 8? La gente che assisteva al “processo” è tornata a casa esausta.
La terza ragione è che Jarrar non è l’unica a essere costretta a subire un processo come questo, e concentrarsi solo su di lei – tra le centinaia che arrivano a questa fabbrica di condanne predeterminate sulla Route 443 [autostrada da Tel Aviv a Gerusalemme, ndt.] ogni settimana – è una forma di discriminazione. Sarebbe forse più corretto scrivere delle persone anonime, quelle i cui processi non sono seguiti dai rappresentanti dell’Unione Europea, quelle che non interessano ai media?
Due di queste molte ombre anonime, che tre anni fa sono state condannate a 18 mesi di prigione per attività collegate al Fronte Popolare, sono state portate in aula lunedì scorso come primi testimoni dell’accusa. A questo scopo sono state arrestate nelle loro case 30 ore prima del processo. Perché arrestate? Perché non avevano ricevuto una convocazione ufficiale scritta di comparizione al processo. A. ha negato di aver detto durante il suo interrogatorio che Jarrar aveva istigato al rapimento di soldati. Sh. ha spiegato che il presidio di solidarietà a cui Jarrar aveva partecipato non era organizzato dal Fronte Popolare, ma da tutte le organizzazioni palestinesi. Il procuratore militare, Netanel Yaacov-Chai, ha chiesto che venissero dichiarati testimoni ostili [all’accusa sostenuta dal pubblico ministero che li ha convocati. N.d.tr.]. Il giudice, tenente colonnello Zvi Heilbron, ha accolto la richiesta.
Il procuratore si è stupito della discrepanza tra ciò che avevano detto nel vagone e quello che il servizio di sicurezza Shin Bet e gli ispettori di polizia hanno scritto che loro avevano detto. I due testimoni hanno affermato di avere subito pressioni fisiche e psicologiche durante gli interrogatori.
A. ha scoperto che le firme sulle sue dichiarazioni alla polizia non erano sue. Il secondo testimone ha detto al procuratore: “Se lei avesse mai subito un interrogatorio dello Shin Bet, potrebbe capire.”
Su richiesta degli avvocati della difesa (Mohammed Hassan e Sahar Francis), Sh. ha fornito alcuni dettagli: il suo interrogatorio presso il “Russian Compuond” a Gerusalemme [zona turistica del centro della città in cui si trova una prigione della polizia, ndt.] è durato circa un mese. Lo hanno fatto sedere su una sedia bassa, con i piedi legati ad una sedia rigida di plastica e le mani ammanettate dietro la schiena. Gli è stato impedito di dormire per molte ore, sempre restando ammanettato. Il periodo più lungo che lui ricorda in cui è stato tenuto in quella posizione è di quattro giorni – 20 ore di seguito, con una pausa di un’ora. Non ha ricevuto cibo mentre era legato. Ha ricevuto acqua da bere. Quando si è addormentato, quelli dello Shin Bet lo hanno portato sotto la doccia per svegliarlo. Quando aveva bisogno di andare in bagno, non vi veniva portato subito. È stato in isolamento per l’intero periodo. Chi lo interrogava gli urlava contro e insultava le sue sorelle, la sua dignità, l’onore della sua famiglia. Lo hanno minacciato di prolungare l’interrogatorio e la sua detenzione se avesse ritrattato parte della sua testimonianza (come in effetti ha fatto).
Il procuratore ha riportato i (selettivi) memorandum scritti dagli ispettori dello Shin Bet, che affermavano che gli era stato dato del cibo (compreso caffè e noccioline) nella stanza degli interrogatori. Il testimone Sh. ha replicato che ricordava di aver mangiato un pezzo di burekas (piatto mediorientale, ndt.) una sola volta nella stanza degli interrogatori.
Gli avvocati della difesa hanno sostenuto che i memorandum reticenti non riportavano ciò che era accaduto o ciò che il testimone aveva detto, ma solo ciò che chi interrogava aveva scritto. Non c’era menzione della tortura (uso di una sedia bassa, prolungato ammanettamento e deprivazione dal sonno sono tutte considerate forme di tortura). L’interrogatorio, come riportato, ha comportato 18 mesi di prigione, così come ha prodotto nomi di anonime persone che possono essere state imprigionate e interrogate senza poter dormire, per aver partecipato a manifestazioni contro l’occupazione, a presidi di solidarietà o per essere in possesso di un fucile. In base alle loro affermazioni, altre anonime persone possono essere state arrestate e interrogate su sedie basse, private del sonno e ammanettate dietro la schiena, con rapporti scritti in cui si sostiene che hanno ricevuto cibo e noccioline. Nena News
(Traduzione a cura di Amedeo Rossi)
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