L’assedio israeliano della Striscia ha fatto crollare del 50% in 16 anni il fatturato del settore della pesca. La Marina israeliana viola gli accordi di cessate il fuoco, ma media israeliani riportano di un dialogo indiretto tra Hamas e Tel Aviv.
di Rosa Schiano
Roma, 4 maggio 2015, Nena News - Sembrava non riuscissero a contenere la gioia i pescatori palestinesi quando mercoledì scorso, al porto di Gaza, attendevano l’arrivo di 15 piccole barche da pesca rilasciate dalla marina militare israeliana, la stessa che due anni prima le aveva confiscate a suon di proiettili. Le forze navali di Tel Aviv hanno rilasciato le 15 imbarcazioni, dette “hasaka”, a 3 miglia dalla costa della piccola enclave e un peschereccio palestinese le ha recuperate e trainate fino al porto.
La rabbia e lo sconforto che spesso crucciano gli sguardi dei pescatori a causa delle continue violazioni e restrizioni di cui sono vittime durante la loro attività hanno così per qualche ora lasciato spazio alla felicità per le barche restituite. Abbiamo raggiunto al telefono ZaKaria Baker, coordinatore del comitato dei pescatori della UAWC (Union of Agricultural Work Committees): “Possiamo considerare il rilascio delle quindici barche un buon passo, tuttavia non rappresenta un reale aiuto al settore ittico né agli stessi pescatori proprietari delle imbarcazioni in quanto sia esse sia i motori sono danneggiati e sono necessari soldi per rimetterli a posto, soldi che i pescatori non hanno, essendo rimasti in questi anni senza lavoro”.
Il settore ittico, ci ha riferito Baker, soffre per quattro motivi in particolare: innanzitutto del blocco navale che dura da nove anni, poi per le continue violazioni contro i pescatori, per il divieto israeliano di importare nella Striscia materie prime e motori per le barche, ed infine per la confisca delle stesse. Israele trattiene nel porto israeliano di Ashdod ancora 85 piccole barche da pesca. “Quindi il rilascio delle imbarcazioni rappresenta solo un piccolo passo paragonato a tanta sofferenza”, ci ha riferito Baker.
Gli abbiamo chiesto quale fosse la condizione dei pescatori dopo il cessate il fuoco iniziato il 26 agosto. “Come comitato dei pescatori abbiamo documentato 735 violazioni (incluso spari, arresti, confische di barche e attrezzature per la pesca) contro i pescatori di Gaza dall’inizio del cessate il fuoco. Inoltre, i disagi per i pescatori sono aumentati dopo l’offensiva, in quanto i bombardamenti hanno distrutto anche strutture del porto e stanze dei pescatori. Le autorità israeliane hanno inoltre ridotto l’area per la pesca, che si estende in realtà fino a 3 miglia dalla costa, e continuano gli attacchi, gli arresti di pescatori, le confische di barche. La percentuale di pescato è diminuita dell’80% rispetto all’anno precedente”.
Ed infatti, non è passato un giorno dal rilascio delle imbarcazioni che la marina israeliana ha ripreso le sue aggressioni nel mare di Gaza: i soldati hanno aperto il fuoco contro pescatori di fronte alle coste di Deir El Balah (area centrale della Striscia), Gaza City e Soudanya (a nord di Gaza). E ancora, il giorno successivo, i militari hanno sparato a tre miglia dalla costa di al Waha (a nord di Gaza) precludendo ai pescatori il diritto di lavorare.
Impedire ai pescatori l’accesso alle proprie terre e alle aree da pesca viola numerose disposizioni del diritto umanitario internazionale, specifica il Palestinian Centre for Human Rights, incluso il diritto al lavoro e ad una vita dignitosa. A seguito dell’ultima offensiva israeliana su Gaza (8 luglio-26 agosto 2014), era stato raggiunto un accordo per il cessate il fuoco tra Israele e gruppi armati palestinesi mediato dall’Egitto che consentiva ai pescatori di raggiungere le 6 miglia dalla costa. In pratica, lo stesso accordo che era stato raggiunto dopo la precedente offensiva, quella del novembre 2012. Tuttavia, le forze israeliane non hanno permesso ai pescatori di raggiungere questo limite in quanto tutti gli attacchi israeliani sono avvenuti all’interno dell’area consentita. Ai palestinesi dunque non viene concesso di accedere all’85% dell’area marittima che viene loro riconosciuta dagli accordi di Gerico (sotto gli accordi di Oslo) nel 1994.
Gli attacchi sui pescatori indifesi sono molto frequenti. Il 7 marzo, le forze israeliane avevano sparato ad un pescatore uccidendolo. Il suo nome era Tawfiq Abu Ryala. E’ il secondo pescatore ucciso dall’inizio del cessate il fuoco.
Le acque dentro dentro le 3 miglia dalla costa sono molto inquinate, a causa di milioni di litri di acque di scarico non trattate o parzialmente trattate che fluiscono quotidianamente nel mar Mediterraneo di fronte alle coste della Striscia. Secondo le Nazioni Unite, dal 1999 il pescato annuale a Gaza è diminuito di quasi il 50%, nel frattempo la povertà aumenta. La pesca è tradizionalmente stata fonte di sostentamento per migliaia di famiglie nella Striscia di Gaza. Tuttavia, negli ultimi anni la capacità delle persone di guadagnare in questo settore è stata indebolita a causa delle restrizioni israeliane sull’accesso dei pescatori al mare. Secondo un rapporto Ocha del 2013, il numero dei pescatori si è ridotto da circa 10,000 nel 2.000 a solo 3.500 nel 2013.
Il rilascio delle barche palestinesi potrebbe tuttavia rientrare in un piano strategico attraverso cui Tel Aviv vorrebbe tentare di mantenere nella Striscia una situazione di calma ed impedire l’esplodere di nuove tensioni. Consapevole della stabilità di Hamas nella enclave palestinese, Israele pare abbia fatto recentemente una inversione di marcia nelle sue relazioni con il movimento islamico con cui manterrebbe contatti indiretti.
In questo contesto, Qatar e Turchia starebbero giocando ruolo di mediatori per garantire un cessate il fuoco di almeno 5 anni che consentirebbe la ricostruzione, secondo la testata The Times of Israel. Questa nuova strategia prevederebbe un alleviamento dell’assedio pur preservando un rigido controllo sulle questioni relative alla sicurezza e all’entrata di materiali da costruzione. Secondo Al Monitor, Tel Aviv manterrebbe una fragile relazione con la Striscia, tentando da un lato di impedire la ripresa delle ostilità attentuando la sofferenza della popolazione, ma da un altro di impedire che l’alleviamento del blocco porti ad un rafforzamento del movimento islamico.
Inoltre, l’esponente di Hamas Ahmad Yousef avrebbe confermato che contatti tra le due parti sarebbero avvenuti attraverso mediatori europei, anche se per il momento nessun accordo pare sia stato ancora raggiunto.
Incontri tra contadini e pescatori della Striscia di Gaza e autorità israeliane sarebbero infine avvenuti a Tel Aviv nei giorni scorsi in occasione di una conferenza internazionale sull’agricoltura, ai quali avrebbe partecipato anche il ministro dell’agricoltura della Striscia, a conferma che qualcosa si sta muovendo senza far rumore, data la delicatezza della situazione.
Dunque non resta che attendere cosa succederà nelle prossime settimane. Non mancano tuttavia delle perplessità: se infatti, un alleviamento del blocco permetterebbe finalmente migliori condizioni di vita alla popolazione, da un altro lato, con una conseguente maggiore indipendenza della Striscia dalla Cisgiordania occupata, la sensazione è che a farne le spese potrebbe essere il progetto nazionale, l’ideale di uno Stato di Palestina unito, proclamato e mai realizzato. Nena News