“Non compiremo passi che metteranno a rischio la sicurezza del nostro Paese” ha dichiarato ieri il premier turco Davutoglu avvertendo però che “qualora la nostra sicurezza sarà messa a repentaglio, interverremo”. Intanto, il regime di al-Asad prova a respingere l’attacco dei ribelli ad Aleppo
della redazione
Roma, 3 luglio 2015, Nena News – Possibile intervento militare turco in Siria? Per il momento no. Ad affermarlo è stato ieri sera il premier turco Ahmed Davutoglu dagli schermi della televisione turca Kanal 7. “La Turchia non farà passi che metteranno a rischio la sicurezza del Paese né permetterà la formazione di strutture [che minacciano] i nostri confini”. “Abbiamo preso tutte le misure necessarie [per intervenire in Siria]” – ha continuato il primo ministro – ma non è giusto creare delle aspettative su un possibile nostro intervento unilaterale”.
Invasione, dunque, scongiurata? Assolutamente no. “Nessuno – ha infatti precisato il premier – deve aspettarsi un nostro ingresso in Siria domani o nel breve periodo, ma non esiteremo a farlo anche domani qualora la sicurezza del [nostro] Paese dovesse essere messa a repentaglio”. Dove per “sicurezza a repentaglio” bisogna leggere un ulteriore avanzamento dei curdi nel cantone di Efrin così da unificare tutti i territori del Rojava (il Kurdistan siriano).
Per Davutoglu, infatti, il pericolo non è rappresentato solo dallo Stato Islamico (con cui in realtà collabora sottobanco), ma dai combattenti curdi dell’Ypg e Ypj e dai lealisti del presidente siriano Bashar al-Asad. E’ stata proprio l’alleanza di Damasco con gli uomini del califfo al-Baghdadi – ha affermato ieri il premier turco – ad aver permesso ai curdi di guadagnare territori confinanti con la Turchia. “Il governo siriano ha lanciato i suoi raid aerei contro l’opposizione moderata costringendola ad abbandonare le aeree [in cui si trovava] che sono state occupate da Da’esh [acronimo dispregiativo per indicare l’Is, ndr]”.
Dunque per ora, almeno a parole, Ankara resterà ferma a monitorare la situazione. Eppure la scorsa settimana il presidente turco Recep Tayyp Erdogan aveva usato toni diversi che lasciavano presagire a tutt’altro scenario. “Non permetteremo mai la fondazione di un nuovo stato sul nostro confine meridionale” aveva dichiarato Erdogan intendendo con “nuovo stato” l’unione dei cantoni curdi del Rojava. Questa settimana era stato poi il Consiglio di sicurezza nazionale turco ad esprimere “preoccupazione per le azioni [dei curdi siriani] che mirano a cambiare la struttura demografica [al confine tra Turchia e Siria] e agli atti di terrorismo che colpiscono la popolazione civile siriana”.
La stampa filogovernativa turca aveva pubblicato perfino alcune indiscrezioni secondo cui Ankara pensava di creare una “zona cuscinetto” o “zona sicura” lunga 100 km e larga 33 km nella regione siriana di Jarablus (nord della Siria) al momento sotto il controllo dell’Is. Una possibilità, però, che già il Dipartimento di stato statunitense aveva già escluso pochi giorni fa per mancanza di “prove evidenti” circa una sua realizzazione e per i “seri problemi logistici” che una sua implementazione avrebbe comportato.
La possibilità di un intervento militare turco è stata scartata ieri anche dall’ambasciatore americano ad Ankara, John Bass, che l’ha definita “ipotetica”. “Penso che dalla nostra prospettiva – ha detto Bass – è molto importante che chiunque controlli le aree di confine in Siria si impegni a combattere Da’esh impedendogli di controllare quel territorio. Da’esh è stato capace di rimpiazzare le sue perdite [umane] grazie al passaggio illegale [di suoi miliziani] dalla Turchia, nonostate gli sforzi enormi compiuti dal governo turco e dal popolo turco per affrontare [questo problema]”. Bass, strizzando l’occhio ad Ankara e alle sue paure per un Rojava indipendente, ha poi dichiarato che chiunque controllerà il confine settentrionale siriano dovrà lavorare per una Siria “unita e democratica”. Bisogna capire “unita” da chi: se al-Asad è in nemico da abbattere per Washington, europei e Ankara, la speranza è nei ribelli moderati siriani. Ma questi, finanziati e addestrati dagli occidentali, sono ormai una forza sempre più irrilevante nello scacchiere siriano.
Davutoglu farebbe bene a considerare le conseguenze di un possibile ingresso in Siria. La principale formazione politica curda in Siria, il partito dell’unione democratica (PYD), ha già fatto sapere che un tale intervento militare (“una aggressione”) minaccerà la pace internazionale e dovrà scontrarsi con la resistenza curda. Non un problema irrilevante per Ankara se si considera che l’Ypg e le Ypj, rispettivamente le unità militari maschili e femminile dei curdi siriani, sono al momento le uniche forze in Siria che, grazie anche all’aiuto della coalizione anti-Is, stanno riuscendo ad infliggere qualche sconfitta ai jihadisti di al-Baghdadi.
Nonostante i tentativi di ieri di Davutoglu di stemperare gli animi, le possibilità che la Turchia possa entrare in Siria in futuro restano alte. Ankara, del resto, è già entrata in territorio siriano lo scorso febbraio per recuperare la tomba di Suleyman Shad, il nonno del fondatore dell’impero ottomano. Certo, un intervento rapido militare che non ha comportato grossi pericoli per i soldati turchi e per la popolazione locale. Ma che tuttavia per le modalità con cui è avvenuto – ovvero senza alcun coordinamento con il presidente siriano al-Asad e senza ricevere alcuna luce verde dalla comunità internazionale – ha sottolineato l’assoluta libertà di agire dei turchi in Siria. Una possibile invasione di Ankara nello stato arabo confinante appare inoltre molto probabile se si considera che al-Asad, che ormai governa a stento un terzo del Paese, appare sempre più indebolito dagli attacchi molteplici che i suoi uomini devono subire e continua ad essere screditato da americani ed europei.
Regime che in queste ore sta passando alla controffensiva ad Aleppo attaccando le postazioni dei ribelli siriani i quali, guidati da gruppi islamici, hanno provato recentemente ad avanzare nelle aree della città controllate da Damasco. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, Ong di stanza a Londra e vicina all’opposizione siriana, scontri violenti tra i lealisti e gli insorti starebbero continuando da ore. Una fonte militare siriana che ha preferito restare anonima ha detto che l’attacco dei ribelli è stato al momento respinto e che ci sarebbero numerose vittime. Secondo il direttore dell’Osservatorio, Rami ‘Abd ar-Rahman, le forze ribelli hanno preso il controllo di alcuni edifici in possesso del governo nella zona nordoccidentale della città. Tuttavia, la loro avanzata non rappresenterebbe al momento una grossa vittoria dal punto di vista strategico. Nena News
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