Il premier turco conferma l’attacco ai combattenti del Rojava avvenuto tra sabato e domenica. Raid anti-Isis in 3 province della Turchia: 65 arresti. Il principale partito d’opposizione apre alla possibilità di coalizione con il partito di governo Akp
della redazione
Roma, 27 ottobre 2015, Nena News – La Turchia ha attaccato due volte i curdi siriani tra sabato e domenica nel nord della Siria. A confermare la notizia è stato ieri sera il premier turco Ahmet Davutoglu. Intervistato dalla televisione A Haber, il primo ministro ha detto che aveva avvisato i membri del Partito dell’Unione democratica (Pyd) a non attraversare la sponda occidentale dell’Eufrate perché, nel caso l’avessero fatto, sarebbero stati attaccati.
Le parole di ieri di Davutoglu confermano dunque la denuncia fatta domenica dalle Unità di protezione del popolo (Ypg), le forze armate dei curdi siriani. In una nota, infatti, le Ypg avevano accusato l’esercito di Ankara di aver attaccato alcune postazioni curde nel nord della Siria “liberate” dallo Stato islamico (Is) a giugno. Nel comunicato i curdi affermavano di essere stati colpiti a Tal Abyad sabato sera e domenica mattina. “Invece di attaccare i terroristi dell’Is – recitava la nota – le forze turche attaccano le nostre postazioni difensive. Esortiamo la leadership turca a fermare l’aggressione e a rispettare le norme internazionali”.
Ankara, sostengono i curdi del Rojava, non sarebbe nuova ad attacchi contro di loro. Lo scorso giugno le unità dell’Ypg avevano accusato i carriarmati turchi di aver colpito il villaggio curdo di Zur Maghar nei pressi di Aleppo. La Turchia, in quell’occasione, aveva però negato qualunque responsabilità.
Che il governo Davutoglu, il delfino del presidente Erdogan, veda nell’Ypg e nel partito Pyd dei “terroristi” è cosa nota. Per Ankara non vi è alcuna differenza tra questi due gruppi e il partito fuorilegge dei lavoratori curdi (Pkk) con cui è in guerra dal 1984 (salve un effimera tregua iniziata sul finire del 2012). Tuttavia, almeno finora, i curdi siriani erano stati graziati dai turchi che avevano preferito concentrare i loro sforzi bellici contro basi del Pkk sui monti Qandil, nel nord dell’Iraq.
Sui fatti di Tel Abyad di sabato e domenica (dove non si sono registrati feriti) tacciono al momento gli Usa. Eppure l’alleanza tra la coalizione anti-Is a guida statunitense e le Ypg ha inferto qualche sconfitta significativa allo Stato islamico. I curdi siriani sono per Washington le uniche truppe di terra affidabili per combattere l’Is. Più o meno reale che sia l’attraversamento dell’Eufrate dei combattenti curdi denunciato da Davutoglu (i curdi negano di aver attraversato il fiume), colpisce la tempistica dell’attacco.
La Turchia è ormai prossima a recarsi alle urne (si vota il 1 novembre) in elezioni che potrebbero modificare sensibilmente il volto della Turchia. Ma sono giorni importanti anche per i curdi siriani che, secondo alcuni analisti, si starebbero preparando insieme a alcune forze ribelli dell’Esercito siriano libero (Esl) a scagliare una grande offensiva contro lo Stato Islamico nella sua “capitale”di Raqqa. Spettatrice interessata agli sviluppi siriani – e in particolare a quelli della sua aria settentrionale – è Ankara. La Turchia del presidente Erdogan teme infatti la creazione di una entità autonoma curda nel nord del Paese amministrata dal Pyd affiliato al Pkk.
E se da un lato si scontra con i curdi del partito dei lavoratori, la Turchia continua ad arrestare presunti affiliati dell’Isis. Le forze di sicurezza turche hanno arrestato stamane 65 persone in alcun blitz anti-terroristici avvenuti contemporaneamente in tre province del Paese. Le operazioni sono state compiute a Konya, Kocaeli e Istanbul. Gli arresti di oggi giungono dopo che ieri 2 poliziotti erano stati assassinati in un raid compiuto dalle forze armate turche in un edificio residenziale nella provincia di Diyarbakir. Nell’assalto sono stati uccisi anche sette sospettati di appartenere allo Stato Islamico. L’attacco contemporaneo ai curdi siriani – in prima linea contro l’Is – e i jihadisti di al-Barghdadi non deve sorprendere: per Ankara sono ugualmente gruppi terroristici. Vedendoli entrambi come pericoli alla sicurezza del paese, le autorità turche possono pertanto accusarli di essere ugualmente responsabili del devastante attentato del 10 ottobre di Ankara. Poco importa che queste accuse appaiano francamente difficili da credere, considerando le notevoli differenze tra jihadisti e il Pkk.
In questo clima di caccia alle streghe, dove a pagare un prezzo salatissimo sono anche i giornalisti che osano criticare il “sultano” Erdogan, la Turchia si prepara al voto di domenica. I sondaggi prevedono una situazione pressocché immutata rispetto alle votazioni del 7 giugno. L’Akp (il partito del premier Davutoglu) dovrebbe confermarsi nettamente vincitore, ma incapace di guadagnare i voti necessari per trasformare il Paese in un sistema presidenziale. Stamattina il principale partito di opposizione, i repubblicani del Chp, si è detto favorevole a formare un governo di coalizione nel caso in cui le elezioni del 1 novembre dovessero confermare i risultati di giugno. Nena News
Fuori dalla NATO, e prima possibile.