La settimana scorsa il presidente serbo Vucic, campione di multilateralismo, ad Abu Dhabi ha raggiunto un accordo di cooperazione per la produzione del vaccino cinese in una fabbrica serba, da usare in casa e poi vendere ai vicini. E provare a sostituirsi all’Unione Europea
di Marco Siragusa
Roma, 16 marzo 20201, Nena News – Mentre in Europa e nel resto del mondo la campagna vaccinale contro il Covid-19 va a rilento, la Serbia è tra i paesi che hanno ottenuto i risultati migliori piazzandosi al settimo posto per popolazione vaccinata (29,5%) dietro Israele, Emirati, Regno Unito, Cile, Bahrain e Usa.
Strutture e sistema sanitario adeguato? Rigide misure di contenimento? Niente di tutto ciò. A rendere il paese uno dei capofila mondiali nella vaccinazione è stata una discreta organizzazione e soprattutto la politica estera adottata dal presidente Vučić. Da sempre campione di multilateralismo, capace di mantenere buoni rapporti contemporaneamente con i leader europei e con Putin, con Xi Jinping come con Trump, Vučić è riuscito a liberarsi dagli stretti margini imposti dalle case farmaceutiche.
L’ultima mossa del presidente serbo si è concretizzata lo scorso 11 marzo ad Abu Dhabi. Durante la sua visita ufficiale negli Emirati, Vučić ha reso pubblico il raggiungimento di un accordo di cooperazione, che verrà firmato entro due settimane, per la costruzione in Serbia di una fabbrica che produrrà il vaccino cinese Sinopharm a partire dal prossimo 15 ottobre.
Come ribadito dallo stesso Vučić, il paese avrà così a disposizione entro la fine dell’anno vaccini sufficienti non solo per la propria popolazione ma anche per l’intera regione balcanica e per i paesi africani dimenticati dalle grandi multinazionali. L’obiettivo dichiarato è quello di produrre 2-3 milioni di dosi al mese da poter rivendere a basso prezzo ai vicini.
La produzione sarà sostenuta dagli investimenti emiratini e dalla partecipazione dei massimi esperti del settore. Questo, secondo il presidente, permetterà alla Serbia di “guadagnare molta forza ed essere incomparabilmente più grande di oggi”.
L’accordo con gli Emirati non è il primo di questo tipo. Il ministro serbo senza portafoglio per lo sviluppo tecnologico Nenad Popović aveva già annunciato a febbraio l’inizio della produzione del vaccino russo Sputnik V a partire dal prossimo 20 maggio. Se questa tabella di marcia fosse confermata, la Serbia sarebbe il primo paese in territorio europeo a produrre autonomamente il vaccino russo.
La “diplomazia del vaccino” adottata da Vučić non ha solo un respiro di lungo periodo. La Serbia infatti è stato il primo paese a importare e utilizzare tutti i vaccini disponibili a livello mondiale. I cittadini e le cittadine serbe possono infatti scegliere tra Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Sputnik V e Sinopharm.
Significativa, non solo dal punto di vista simbolico, la scelta dei principali leader politici. La prima ministra Ana Brnabić, nota per il suo europeismo di facciata, si è infatti vaccinata con Pfizer. Il presidente del parlamento Ivica Dačić, da sempre vicino alla Russia di Putin, ha scelto invece lo Sputnik V, mentre Vučić, amico fraterno del leader cinese Xi Jinping, ha optato per Sinopharm. Una strategia che mira a non scontentare nessuno e che ha permesso al paese di ricevere le milioni di dosi necessarie alla campagna vaccinale.
Questo ha permesso non solo di vaccinare la propria popolazione ma addirittura di inviare alcune migliaia di dosi anche ai paesi vicini. È capitato il 2 marzo quando Vučić in persona è arrivato in Bosnia Erzegovina con 10mila dosi di AstraZeneca destinate ai cittadini della Republika Srpska (l’entità bosniaca a maggioranza serba) che aveva già ricevuto circa 22mila dosi di Sputnik V direttamente dalla Russia. Un’operazione identica a quella messa in campo il 14 febbraio quando il presidente serbo si era recato in Macedonia del Nord per donare 8 mila dosi permettendo a Skopje, in attesa dell’arrivo dei vaccini tramite il programma Covax, di avviare la campagna vaccinale. Un regalo accolto con estrema gratitudine dal primo ministro macedone Zoran Zaev che aveva parlato di “atto di preziosa amicizia”. Tre giorni dopo, un aereo governativo serbo con 2 mila dosi di Sputnik V atterrava, questa volta senza il presidente, in Montenegro.
Ben più problematico quanto successo con il Kosovo. A fine dicembre Vučić aveva annunciato l’intenzione di vaccinare la sola popolazione serba provocando la dura reazione dell’allora primo ministro kosovaro Avdullah Hoti. Costrette a interrompere la campagna informale, le autorità serbe, secondo quanto riportato da un articolo del The Telegraph, hanno trovato un escamotage: portare i serbi del Kosovo oltre confine e vaccinarli in territorio serbo.
Alla luce di questi eventi, qual è la reale intenzione del presidente serbo? A guidarlo non è certo uno spirito umanitario ma un freddo calcolo geopolitico. In questo modo, infatti, Vučić punta a presentarsi come uno dei principali sostenitori del multilateralismo nelle relazioni internazionali sfruttando gli evidenti limiti e gli errori di un’Unione Europea incapace di garantire ai propri partner un concreto aiuto.
Un altro obiettivo della diplomazia vaccinale della Serbia è quello di ritagliarsi il ruolo di paese guida della regione, capace di sopperire alle mancanze dell’Unione e attrarre nella propria orbita i vicini. In questo modo Vučić spera di acquisire ulteriore peso politico sia nei confronti dell’Unione, per poter strappare condizioni sempre più favorevoli nelle negoziazioni per l’adesione, sia nei confronti degli altri paesi, soprattutto dopo il progetto di dare vita ad una mini-Schengen regionale lanciato a fine 2019.
Ad uscire indebolita da questa vicenda è, ancora una volta, l’Unione Europea che ha perso l’ennesima occasione per dimostrarsi un alleato affidabile, qualità che viene richiesta da decenni ai paesi balcanici. Secondo una ricerca condotta da Bloomberg, l’Unione Europea è il primo paese al mondo per esportazione di vaccini. Il problema è che queste esportazioni sono state dirette principalmente verso il Regno Unito, nonostante la Brexit, e altri paesi occidentali.
Delle 34 milioni di dosi esportate ben poche sono arrivate ai partner balcanici nonostante l’ormai ultradecennale processo di adesione all’Ue che li vede coinvolti. Chi invece ottiene un enorme successo politico è proprio il presidente serbo, non certo un leader di democrazia e trasparenza. Nena News