Femministe in prima fila nelle manifestazioni: chiedono giustizia sociale, lotta alla corruzione, l’applicazione delle riforme rimaste sulla carta. E avanza #EnaZeda, il #Metoo tunisino, “che ha rotto un tabù importante”, ci spiega la docente Renata Pepicelli
di Melissa Aglietti
Roma, 8 marzo 2021, Nena News - Le donne tunisine tornano in piazza, affamate di diritti e di libertà. La crisi sanitaria ed economica che sta attraversando la Tunisia smuove le viscere del Paese, che si ritrova a fare i conti con il suo lato repressivo, tra arresti arbitrari, accompagnati da violenze e torture nei centri di detenzione e una classe politica che non si è dimostrata all’altezza delle promesse fatte durante la rivoluzione.
E a farne le spese sono le donne e la comunità Lgbtqi+, in prima linea nella richiesta di diritti e uguaglianza di fronte alla legge. “Oggi il femminismo istituzionale, rappresentato da strutture come l’Associazione tunisina delle donne democratiche (Atfd) e movimenti femministi alternativi, gruppi femministi di Tunisi e della regione, la maggioranza delle femministe avanzano richieste economiche: giustizia sociale, nell’eredità”, ha commentato in un’intervista rilasciata all’Huffpost l’attivista per la difesa dei diritti delle donne, Henda Chennaoui.
“Le femministe responsabilizzano lo Stato davanti a questa crisi economica che rischia di far perdere tutte le conquiste ottenute dalle donne e di bloccare le riforme, recentemente votate in parlamento come la legge 58 contro le violenze contro le donne. Nelle ultime manifestazioni, le femministe erano in prima linea, sul fronte delle manifestazioni con slogan politici che si possono riassumere in: giustizia sociale e per tutti, riforme, lotta contro la corruzione, riconoscimento dei martiri della rivoluzione”, ha detto.
Insomma, all’orizzonte si profila la fine del femminismo di Stato che ha caratterizzato la Tunisia dagli anni Cinquanta a oggi. Un femminismo che forse è percepito come obsoleto già da tempo. Tanto che, come ricorda a Nena News Renata Pepicelli, docente di Storia del mondo arabo contemporaneo all’Università di Pisa, non è stato il femminismo statalizzato, bensì i movimenti femministi che hanno portato nel parlamento tunisino del 2011 più donne che nel parlamento italiano dell’epoca.
“Ci sono state riforme altamente progressiste, come la legge contro la violenza sulle donne, approvata trasversalmente da tutti i partiti, che prevede, tra l’altro, sostegno alle vittime”, ci spiega Pepicelli. Una legge che però è lontana da una piena applicazione, come denunciano le associazioni femministe. Una piena applicazione più che mai necessaria in questo momento a causa della pandemia parallela di violenza nelle famiglie, effetto collaterale della crisi sanitaria.
“L’essere chiusi in casa ha fatto crescere la violenza di genere all’interno delle case”, continua Pepicelli. Una questione centrale come dimostra la nascita del movimento #EnaZeda, il #Metoo tunisino,“che ha portato allo svelamento di molti casi sommersi, rompendo un tabù importante”. Ma non solo. “Il Covid ha intaccato molte economie informali che vedono le donne protagoniste. Con il lockdown c’è stato un impatto anche su questo versante”.
E senza emancipazione economica, non può esserci emancipazione di genere. Una problematica a cui le donne tunisine stanno rispondendo con i movimenti di piazza. Ancora una volta.