Preoccupazione per il blogger egiziano Mohamed “Oxygen” Ibrahim, detenuto da due anni. Colloqui a Vienna, Teheran ha fretta di raggiungere un accordo sul nucleare. Due manifestanti sudanesi uccisi nelle proteste contro il golpe
della redazione
Roma, 15 febbraio 2022, Nena News
Preoccupazione per il blogger egiziano Mohamed “Oxygen” Ibrahim, detenuto da due anni
Cresce la preoccupazione per le condizioni di salute del blogger egiziano Mohamed “Oxygen” Ibrahim, in carcere da due anni e condannato lo scorso dicembre insieme all’attivista Alaa Abdel Fattah ad altri quattro anni per diffusione di notizie false. Per quasi due anni non ha avuto contatti con la famiglia e il suo recente rifiuto a partecipare al funerale della madre, per la quale aveva ricevuto il via libera del Ministero degli Interni, ha sollevato paure sul suo stato di salute mentale.
“Potrebbe indicare che le condizioni psicologiche sono deteriorate a un livello di pericolo per la sua vita, soprattutto alla luce del passato tentato suicidio”, spiega il suo legale Nabil al-Genady all’agenzia indipendente Mada Masr. Successe a luglio 2021: Ibrahim tentò di uccidersi nel maxi carcere di Tora, dopo 15 mesi di dinieghi delle visite familiari e di quelle degli avvocati. A ciò si aggiungono sia le condizioni di vita nella sezione in cui è detenuto, l’ala 2 del complesso di massima sicurezza di Tora dove i detenuti dormono a terra con le finestre aperte in qualsiasi momento dell’anno, che il silenzio di Ibrahim durante le ultime udienze che, secondo i suoi legali, “indica un alto livello di disperazione”.
Dopo una detenzione di un anno, tra aprile 2018 e giugno 2019, Mohamed “Oxygen” Ibrahim – noto per il suo blog e il canale YouTube Oxygen Egypt, nel quale documentava torture in prigione e sparizioni forzate – è di nuovo in carcere dal settembre 2019, arrestato durante una vasta campagna di fermi a seguito di proteste di piazza. Accusato di essere membro di un gruppi illegale e di diffusione di notizie false, avrebbe dovuto essere rilasciato nel novembre 2020 dopo l’ordine della corte, ma la Procura generale ha aperto un altro fascicolo, in quella che è definita la politica delle “porte girevoli”.
Secondo i dati delle organizzazioni per i diritti umani, in Egitto sono detenuti per motivi politici tra i 60mila e i 100mila egiziani. A causa delle terribili condizioni nelle carceri, almeno 49 prigionieri sono morti nel 2021. Ben 918 dal luglio 2013, quando l’allora generale al-Sisi prese il potere con un golpe militare.
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Colloqui a Vienna, Teheran ha fretta di raggiungere un accordo sul nucleare
Proseguono i colloqui a Vienna tra Iran e il 5+1 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Cina) per resuscitare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015 da cui l’allora amministrazione Trump uscì unilateralmente nel 2018. Ieri il ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amir-Abdollahian, in conferenza stampa ha dato conto della “fretta di raggiungere un accordo, entro i limiti dei nostri interessi nazionali”.
Le richieste di Teheran sono note: la cancellazioni delle sanzioni statunitensi, responsabili di un indebolimento grave dell’economia interna, il ritorno all’intesa firmata sette anni fa e l’impegno di Washington a non uscire di nuovo dall’accordo. E, ovviamente, il prosieguo del programma nucleare iraniano con fini civili. Da parte loro gli Stati Uniti vogliono garanzie in merito al rallentamento della corsa agli armamenti iraniana e lo stop al sostegno di organizzazioni regionali come Ansar Allah (il braccio politico dei ribelli yemeniti Houthi) e Hezbollah in Libano.
Nei fatti, dei progressi sono stati fatti: la scorsa settimana la Russia parlava di accordo vicino al traguardo e di una bozza già sul tavolo. Simili dichiarazioni sono giunte dalla Cina che ha confermato: l’Iran ha offerto il suo “pacchetto finale” di proposte. A darne la misura è stata la rimozione di alcune sanzioni Usa che permetterebbe così ad aziende straniere di riavviare i rapporti con l’Iran nel campo del nucleare civile.
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Due manifestanti sudanesi uccisi nelle proteste contro il golpe
Altri due manifestanti sono stati uccisi ieri in Sudan durante l’ennesima repressione violenta delle proteste popolari contro il golpe militare che lo scorso ottobre ha posto fine all’esperienza governativa mista, militare e civile, seguita alla rimozione del presidente Omar al-Bashir nell’aprile 2019. In migliaia di nuovo ieri hanno marciato nella capitale Khartoum e nella città gemella Omdurman, ma anche a Port Sudan e nel Darfur: le due vittime portano a 81 il bilancio totale degli uccisi dall’esercito dal 25 ottobre 2021.
Nella capitale i manifestanti hanno sventolato le bandiere nazionali e palloncini rossi, cantando slogan che chiedono il rilascio degli attivisti politici arrestati, insieme a funzionari governativi detenuti dopo la rimozione del governo di transizione. Secondo la Sudanese Professionals Association, l’organizzazione che dal 2019 guida le proteste di piazza, prima contro Bashir e ora contro il golpe, nelle ultime settimane ci sarebbero stati almeno 60 arresti.
Tra gli ultimi, domenica, Mohammed al-Faki Suliman, ex membro del Consiglio sovrano sudanese, ovvero il corpo che nel processo di transizione governava il Sudan. La scorsa settimana in prigione è finito di nuovo Khalid Omar Youssef, ministro nel governo di transizione, il cui compito era quello di confiscare le proprietà degli uomini del regime di Bashir. Nena News