Riprendono le lezioni nell’università teatro di uno dei più sanguinosi attentati messi a segno dai qaedisti somali di al Shabab, nove mesi fa. Morirono 150 persone, in maggioranza giovani universitari. I racconti dei sopravvissuti
di Federica Iezzi
Garissa (Kenya), 15 gennaio 2016, Nena News – Continua la prima settimana di lezioni al Garissa University College, nella provincia Nordorientale del Kenya.
Riaprono le classi con 153 persone in meno, tra cui 148 studenti e cinque addetti alla sicurezza. Questo fu il bilancio delle vittime dell’attacco dello scorso aprile a Garissa, attribuito al gruppo affiliato ai jihadisti somali al-Shabaab.
Pareti colorate a coprire i fori dei proiettili partiti dagli AK-47, maneggiati dal gruppo armato. Vernice che ha cercato di nascondere ogni traccia degli omicidi. Questo, quello che rimane di quel giovedì negli edifici del college. A seguito dell’attacco, il segretario di Gabinetto per l’Educazione, professor Jacob Kaimenyi, aveva disposto la chiusura del college a tempo indeterminato.
Quell’aprile avevamo parlato con Jene. Era stata colpita all’addome. Trasportata al Kenyatta National Hospital di Nairobi, era stata sottoposta ad un intervento chirurgico. Oggi abbiamo incontrato Nadja, la sua compagna di stanza. “Jene non ce l’ha fatta. Era solo al suo primo anno di college. Per tutti noi, studiare non sarà mai più la stessa cosa”. Jene era una dei 19 ragazzi in condizioni critiche tra i 104 feriti.
Attraverso una nota interna, il professor Ahmed Warfa, preside del college, lo scorso luglio aveva autorizzato tutti i dipendenti a riprendere le normali attività. Il professore assicura un accresciuto livello di sicurezza nella zona, una recinzione perimetrale del college dotata di telecamere a circuito chiuso e l’appoggio costante di una stazione di polizia all’interno della scuola.
Il governo kenyano di Uhuru Kenyatta, ha finanziato la ricostruzione e la riapertura dell’università, dopo decenni di abbandono, in un’area in cui lo stile di vita agro-pastorale rende la frequenza scolastica irregolare. Fatuma ha pregato per mesi Halima, la figlia scampata alla furia di al-Shabaab, di non tornare a Garissa. Ci dice “L’ho pregata di cambiare università anche se significava allontanarsi dalla famiglia”. Dopo nove mesi Halima ha riniziato a frequentare il suo corso di letteratura. A Garissa Halima ha perso Faith, la sorella. Ci dice “Lo dovevo a Faith, lei prima di me frequentava il corso di letteratura e ne era entusiasta. Voglio pensare che un giorno le racconterò quello che ho imparato”.
Gli unici a non tornare nelle aule di Garissa sono stati i sopravvissuti trasferiti alla Moi University della città di Eldoret, nel Kenya occidentale.
Abbiamo seguito anche la storia di Aleela. Ad aprile avevamo incontrato la sorella Nadira nella sala d’attesa del Kenyatta National Hospital di Nairobi, mentre Aleela era tra le mani dei neurochirurghi. Oggi Aleela ci racconta che i terroristi non sono riusciti a toglierle il sogno di diventare una maestra nella sua Marsabit, il villaggio dove è cresciuta. “Sono tornata a Garissa adesso, io ero tra i 700 ostaggi. Mi hanno dovuto tagliare i capelli per l’intervento. Nadira è stata con me sempre nei quattro mesi di ospedale e mi ha appoggiata nella scelta di tornare a studiare. Non la ringrazierò mai abbastanza”.
La famiglia di Aleela sta ancora pagando le spese mediche insieme con le tasse scolastiche universitarie. “Il governo non ci aiuta economicamente”, ci dice. Una riunione del consiglio accademico precederà l’organizzazione dei corsi, dell’unica istituzione di istruzione superiore nella regione. Alcuni docenti non sono più tornati ad insegnare nel college. E molti sono ancora i posti di lavoro vacanti nell’università.
Mentre 145 studenti sono pronti a frequentare le nuove lezioni, alcuni dei quali di nuova immatricolazione, molti corsi accademici non hanno ancora un programma definito. Nena News
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