Il premier Kadhimi ordina un’inchiesta lampo per individuare le responsabilità, ma il movimento popolare è consapevole che nulla è cambiato: il sistema settario di potere è ancora in piedi. E le manifestazioni ritornano, sulla spinta dei blackout elettrici insopportabili a 50 gradi di temperatura e con riserve petrolifere tra le prime al mondo
della redazione
Roma, 28 luglio 2020, Nena News – Il primo ministro Mustafa al-Kadhimi non intende perdere occasione per mostrarsi “diverso”. Consapevole che i suoi predecessori sono stati travolti dalle proteste di base, appena nominato ad aprile aveva volto l’orecchio alle manifestazioni che da ottobre attraversano il paese. E aperto inchieste sulle uccisioni dei manifestanti, 550 fino alla primavera, fino a ordinare un raid nella sede di una milizia sciita filo-irachena.
Ieri ha ordinato un’altra inchiesta dopo l’uccisione, ieri mattina, di altri due iracheni durante una manifestazione a Baghdad. Perché le proteste sono riprese: rallentate dall’epidemia di Covid, durante la quale i cortei si sono rarefatti e i manifestanti si sono dedicati al sostegno della popolazione sotto forma di consegna di aiuti alimentari, disinfettante e mascherine, domenica si sono riaccese.
Sia nella capitale che nel sud in migliaia hanno manifestato contro la corruzione della classe dirigente e il sistema settario che la regge dal dopo-Saddam e l’occupazione Usa. A riportare gli iracheni in piazza sono i continui blackout elettrici, insopportabili con 50 gradi di temperatura e un paese che è in cima alle classifiche delle riserve nazionali di petrolio. Erano stati proprio i disservizi elettrici a provocare, nelle estati precedenti, le proteste della città di Bassora, primo nucleo della futura mobilitazione, la più ricca di petrolio eppure poverissima, sia in termini di servizi che di opportunità di lavoro.
Lunedì il corteo partito da piazza Tahrir, epicentro del movimento popolare, era proseguito verso piazza Tayaran per incontrare la risposta delle forze di sicurezza. Ai gas lacrimogeni i manifestanti hanno risposto con le pietre. Due candelotti lacrimogeni hanno colpito alla testa e al petto due persone, uccidendole. Come molte altre prima di loro: una buona parte delle oltre 550 vittime della repressione sono morte colpite dai candelotti, sparati dalla polizia per uccidere.
Kadhimi ha dato alle forze di sicurezza 72 ore per consegnare i risultati dell’inchiesta sulla morte dei due manifestanti, ha detto ieri in tv: “Ogni pallottola diretta ai nostri giovani e al nostro popolo – ha aggiunto il premier – è una pallottola diretta alla nostra dignità e ai nostri principi”. Ha risposto il portavoce militare Yahya Rasool che ha confermato che l’inchiesta è in corso e che ai militari è stato ordinato di non usare la forza se non necessaria.
Eppure, come riportato da al-Jazeera, decine di manifestanti sono stati feriti domenica da agenti in borghese che hanno sparato anche pallottole vere contro il corteo. Una reazione repressiva identica a quella del passato, tanto che online tanti iracheni accusano il primo ministro di comportarsi come i predecessori. Il movimento non intende farsi raggirare: se le inchieste vengono ordinate, a oggi non si registrano arresti o punizioni per i responsabili delle oltre 550 morti, né tanto meno iniziative politiche per modificare alla base il sistema di potere iracheno.
Lo stesso Kadhimi è frutto del solito accordo tra partiti politici, un sistema di distribuzione di autorità sulla base dell’etnia e della confessione con cui l’Iraq è retto dai tempi di al-Maliki, prodotto diretto dell’occupazione statunitense che ha imposto al paese una suddivisione del potere settaria che ha permesso una corruzione tentacolare. Nena News