Il ministro degli esteri iracheno ha accusato Francia, Germania, Canada e Gran Bretagna di “intromissione negli affari interni iracheni”. Ieri mattina razzi su una base militare vicino a Baghdad hanno ferito 6 soldati (due sono gravi). Oggi attesi cortei di protesta nella capitale
della redazione
Roma, 10 dicembre 2019, Nena News – Si fa sempre più tesa la situazione in Iraq. Agli oltre 450 manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza nelle proteste antigovernative in corso da oltre due mesi, ieri si è aggiunta anche la crisi diplomatica con Germania, Canada, Francia e Gran Bretagna. Domenica i quattro paesi avevano criticato il governo iracheno del dimissionario Abdel Mahdi perché incapace di controllare le azioni dei gruppi armati attivi in Iraq. “Nessun gruppo dovrebbe agire al di là del controllo dello stato” avevano ammonito i quattro stati dopo che, nel weekend, almeno 20 manifestanti erano stati uccisi da parte di alcuni uomini armati.
La situazione in Iraq è sempre più fuori controllo. Lo dimostrano chiaramente i recenti attacchi missilistici contro le basi militari. Ieri mattina l’ultimo: alcuni razzi sparati da ignoti hanno colpito un complesso militare che ospita le forze statunitensi nei pressi dell’aeroporto della capitale Baghdad. Nell’attacco sono rimasti feriti sei soldati (2 sono in gravi condizioni) appartenenti all’unità del contro-terrorismo che gode di discreta popolarità nel Paese grazie al ruolo di primo piano svolto contro lo Stato Islamico.
Lo scorso giovedì, ad essere stata presa di mira era stata invece la base aerea di Balad (a 50 km da Baghdad) in cui operano sia militari americani che contractor. Due giorni prima era toccato a quella di Ain al-Asad, nella provincia settentrionale dell’Anbar. Non è chiaro chi sia dietro a questi attacchi. Secondo alcuni analisti, a provocarli potrebbero essere gruppi vicini ai partiti che mal digeriscono le proteste di piazza. Nelle loro intenzioni, spiegano i commentatori, ci sarebbe il tentativo di creare il caos per poi giustificare “per motivi di sicurezza nazionale” la repressione governativa contro i manifestanti.
Quel che è certo finora è che il governo – sempre più messo alle corde e incapace di rispondere politicamente alle richieste della piazza – sa rispondere soltanto mostrando i muscoli. Come definire altrimenti la convocazione fatta ieri degli ambasciatori di Canada, Germania, Francia e Gran Bretagna per la loro “inaccettabile intromissione negli affari interni iracheni” dopo le critiche di domenica?
Senza poi dimenticare la carneficina dei dimostranti di cui il governo è responsabile. Che continua senza sosta anche quando la mano che uccide potrebbe non essere direttamente la sua: è il caso del 53enne Fahem al-Tai ucciso domenica notte a Kerbala (sud Iraq) mentre ritornava a casa. Il suo funerale ieri nelle strade della città santa sciita si è trasformato in un corteo di protesta formato da centinaia di persone. “Non dimenticheremo i nostri martiri” recitava uno dei cartelli che aveva in mano un dimostrante.
Un antipasto di quello che dovrebbe accadere oggi quando, a due anni dalla “sconfitta” del cosiddetto Stato Islamico, gli attivisti antigovernativi provenienti da diversi parti del Paese dovrebbero protestare uniti nella capitale. Ma i leader paramilitari hanno già avvisato che queste iniziative saranno “disastrose” per gli interessi nazionali. “Porteranno maggiore caos in città” si è affrettato a spiegare Qais al-Khazali, leader della milizia Asaib Ahl al-Haq sulla lista nera degli Usa. Nena News