L’ordine (non vincolante) della Corte internazionale agli Stati uniti. Vittoria per Teheran. Ma compare una crepa nell’Ue: Parigi blocca asset iraniani per un presunto attentato in Francia a giugno
di Chiara Cruciati – il Manifesto
Roma, 4 ottobre 2018, Nena News – Uno a zero per l’Iran. Ieri la Corte internazionale di giustizia ha ordinato agli Stati uniti l’annullamento delle sanzioni introdotte negli ultimi mesi contro la Repubblica islamica, in particolare quelle relative all’aviazione civile e all’importazione di cibo e medicinali. Una vittoria politica: l’Aja non ha potere coercitivo e non può costringere l’amministrazione Trump a togliere le restrizioni punitive introdotte a partire dall’uscita di Washington dall’accordo sul nucleare siglato con Teheran nel 2015.
Ma, dal punto di vista simbolico e di legittimazione politica della Repubblica islamica, il governo Rouhani ne esce vincente: per la più alta istituzione giuridica mondiale, le sanzioni Usa sono illegali. Era stato l’Iran a presentarsi all’Aja ad agosto: la denuncia si basava sulla violazione del Trattato di amicizia tra i due paesi, firmato nel 1955 dal presidente statunitense Einsenhower e dal premier iraniano Hossein Ala. Sebbene in mezzo ci siano stati la rivoluzione khomeinista, la crisi degli ostaggi e 39 anni di congelamento dei rapporti diplomatici, il Trattato è considerato valido.
Alla base della decisione della Corte sta il pericolo di una crisi umanitaria dovuta proprio alle sanzioni, che impediscono di fatto a Teheran – a tre anni dall’accordo che avrebbe dovuto rilanciarla nel mercato internazionale – di intrattenere normali rapporti economici e commerciali con il mondo.
Con gli asset all’estero mai scongelati e l’impossibilità di entrare nel sistema bancario internazionale, l’Iran sta assistendo alla fuga, una dopo l’altra, delle grandi compagnie internazionali che dopo il 2015 avevano siglato contratti nel paese mediorientale. Per gli avvocati di Teheran l’effetto è lo strangolamento dell’economia interna che danneggia in primis i cittadini.
L’Aja gli ha dato ragione: «La Corte – ha detto il presidente del tribunale – ritiene che gli Usa debbano, in linea con gli obblighi previsti dal trattato del 1955, rimuovere qualsiasi impedimento derivante dalle misure annunciate l’8 maggio 2018».
In particolare le sanzioni non possono bloccare «l’esportazione nel territorio iraniano di beni necessari per esigenze umanitarie come medicinali, attrezzature mediche, generi alimentari e prodotti agricoli, nonché beni e servizi necessari per la sicurezza dell’aviazione civile». «Gli Usa – conclude – devono assicurare che licenze e autorizzazioni siano garantite e che i pagamenti e altri trasferimenti di fondi non siano soggetti ad alcuna restrizione».
E mentre Teheran festeggia e Washington mette in dubbio la giurisdizione dell’Aja, gli altri firmatari rimasti fedeli all’accordo (Russia, Cina e Unione europea) restano in attesa del 4 novembre quando nuove sanzioni Usa dovrebbero entrare in vigore.
E se Bruxelles resiste proponendo un nuovo sistema fiscale per aggirare le restrizioni, in Europa appare una crepa: ieri la Francia ha accusato l’Iran di aver organizzato un attentato a Parigi lo scorso giugno contro un sit-in degli oppositori del Mek (gruppo che promuove il rovesciamento violento del governo iraniano e che fino al 2009 è stato considerato di matrice terroristica da Ue e Usa), sventato dai servizi segreti.
Per questo l’Eliseo ha ordinato due giorni fa un congelamento di sei mesi degli asset di alcuni cittadini iraniani, tra cui persone vicine ai servizi segreti della Repubblica islamica.
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati