Polizia e bulldozer israeliani arrivano nella notte nel quartiere di Gerusalemme est dove 28 famiglie palestinesi sono minacciate di espulsione da decenni. Arrestati cinque membri, la casa ridotta in macerie
della redazione
Roma, 19 gennaio 2021, Nena News – Il primo sgombero dal quartiere palestinese di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, è avvenuto di notte. I bulldozer israeliani e la polizia sono arrivati alle 3 del mattino, mentre la famiglia Salhiya dormiva. Con loro una 20ina di persone, arrivate a difesa della casa, dopo il tentato sgombero di ieri, poi congelato.
Il quartiere, che ha acceso la mobilitazione palestinese della scorsa primavera, dentro Gerusalemme e nelle città palestinesi in Israele fino a Gaza, con il lancio di un’operazione militare israeliana contro la Striscia, non aveva mai visto risolvere la questione: case costruite da famiglie palestinesi rifugiate del 1948, a cui sono stati tolti tutti i beni dal neonato Stato di Israele, su terre di Gerusalemme est, secondo un accordo stipulato all’epoca dall’agenzia Onu Unrwa e la Giordania.
Per Israele quelle terre – e dunque quelle case – sono di proprietà di famiglie ebree, residenti a Gerusalemme est prima del 1948. Un caso di doppio standard, nella migliore delle ipotesi: i palestinesi rifugiati per legge non hanno alcun diritto di rivendicare proprietà dentro Israele, gli ebrei sì. Nel peggiore dei casi, una stortura: secondo le famiglie di Sheikh Jarrah, chi oggi rivendica le loro terre – un’associazione di coloni, Nahalat Shimon – non ha alcun documento che ne attesti la proprietà.
Israeli forces have completely withdrawn from vicinity of Salhiyeh family home in Sheikh Jarrah, Jerusalem, leaving behind destruction and steadfastness. pic.twitter.com/tg3rUmNr5Q
— Jalal (@JalalAK_jojo) January 17, 2022
Stanotte la prima forzatura, visto che il “caso” è ancora di fronte alla Corte suprema. Un ingente gruppo di poliziotti, compresi agenti anti-terrorismo e anti-sommossa, sono entrati alle 3 del mattino, con la forza, nella casa dei Salhiya, 18 persone suddivise in due diverse strutture. Sono originari di Air Karim, villaggio alle porte di Gerusalemme, da cui furono espulsi nel 194 durante la Nakba.
Hanno tagliato l’elettricità. Hanno lanciato gas lacrimogeni, racconta Yasmin a Middle East Eye. Hanno aggredito e arrestato cinque membri della famiglia, compreso il padre Mahmoud, la sorellina di nove anni Ayah e una zia.
حقيبة المدرسة .. دفاتر الأطفال .. برواز الصور .. مقتنيات أطفال عائلة صالحية في الشيخ جراح تحت الركام #عائله_صالحيه_تستغيث#انقذوا_حي_الشيخ_جراح#SaveSheikhJarrah pic.twitter.com/S9L9hmAqbH
— AlQastal القسطل (@AlQastalps) January 19, 2022
Hanno picchiato anche chi stava fuori a difesa della casa dei Salhiya. Hanno sparato proiettili di gomma ai giornalisti che tentavano di avvicinarsi e, conclude Yasmine, impedito alle ambulanze di arrivare. Alla fine hanno demolito la casa. L’hanno distrutta, con all’interno tutto quello che la famiglia possedeva, di notte mentre fuori pioveva.
A nulla è servito il tentativo dell’avvocato Ahmad al-Qadmani di fermare la demolizione con un appello alla corte. Per questo, diceva stamattina ai giornalisti, “si tratta di un atto di aggressione che viola la legge”. Israele dice di poter agire: al posto della casa dei Salhiya sarà costruita una scuola per bambini disabili.
Già ieri mattina la polizia israeliana aveva tentato lo sgombero, ma Mahmoud si era barricato sul tetto, minacciando di dare fuoco alla casa. Dopo una decina di ore, la polizia se n’era andata. “Preferisco morire, muoio da 25 anni – aveva detto Mahmoud – La morte è meglio di aspettare che la tua casa sia distrutta. Moriamo ogni giorno”.
Il timore ora si allarga a tutto il quartiere, chi sarà il prossimo. A dicembre il governo israeliano aveva dato come ultimatum per l’evacuazione volontaria il 25 gennaio, nonostante le proteste giunte non solo dai palestinesi, ma anche da istituzioni internazionali e organizzazioni per i diritti umani. La stessa Corte suprema israeliana, nei mesi scorsi, aveva spinto per un accordo tra le 28 famiglie palestinesi coinvolte nel piano di sgombero israeliano e l’associazione dei coloni Nahalat Shimon.
Accordo che però i palestinesi hanno sempre rifiutato: prevedeva il riconoscimento della proprietà di case e terre ai coloni, in cambio di uno status di “affittuari protetti” per 15 anni, al costo di 2.400 shekel (circa 640 euro) ogni due anni. Allo scadere dei 15 anni le due parti avrebbero dovuto ripresentarsi di fronte alla Corte per un nuovo dibattito in merito. Secco il no di Sheikh Jarrah: significherebbe riconoscere come legittima la diseguaglianza insita nella legge israeliana, la legge degli Assenti del 1950 che ha permesso alle autorità del neonato Israele di confiscare terre e proprietà senza riconoscere diritti di reclamo ai legittimi proprietari palestinesi. Nena News